Poche decine di positivi al giorno, l’incidenza crollata sotto l’1% dei tamponi processati, il tasso d’ospedalizzazione fra i più bassi d’Italia: dati che consiglierebbero di tornare sui binari di partenza, approfittando – come ovvio – del lavoro svolto in questi mesi sul piano dell’edilizia, per potenziare le cure e dare slancio, attraverso un’oculata gestione del personale, al rinascimento della sanità siciliana. Invece la riconversione dei reparti procede con estrema cautela e il nuovo piano messo a punto dall’assessore regionale, Ruggero Razza, risente dei (potenziali) reflussi della pandemia. Del colpo di coda, annunciato da qualche virologo. Del rischio di un’altra ondata che, al termine dell’estate e al netto di una campagna vaccinale ‘monca’, potrebbe scatenarsi anche nell’Isola.

Siamo nella classica fase d’impasse, dove alle incertezze si sommano le furbizie. Gli operatori sanitari e amministrativi assunti in piena pandemia per fare fronte all’emergenza – circa 9 mila persone – verranno rinnovati quasi tutti: “Non smobilitiamo la struttura emergenziale – ha detto l’assessore nell’intervista di qualche giorno fa a Live Sicilia –. Nessuno è nelle condizioni di fare una prognosi sulla fase successiva all’estate. Nel corso di una pandemia e con un’eventuale dichiarazione dello stato di emergenza non ci si si può permettere di cedere alla tentazione di pensare che tutto sia finito”. La proroga degli incarichi, ovviamente, ha un costo. E la sanità siciliana, come le altre sanità regionali, ha già speso un bel pacco di soldi. Inoltre, dai calcoli effettuati dal Giornale di Sicilia, il rinnovo – già scritto – di migliaia fra medici e infermieri, assunti in regime di partiti Iva o come Co.co.co., costerà la bellezza di 30 milioni. Solo a Palermo.

Ma perché parlare di furbizie? Perché qua e là, in giro per la Sicilia, emergono situazioni poco chiare che alimentano il solito sospetto: non è che a guadagnarci sono sempre i ‘soliti’? “Per le assunzioni di psicologi e psicoterapeuti all’Asp di Messina per l’emergenza Covid – fa notare il deputato regionale del Movimento 5 Stelle, Antonio De Luca – sarebbero state seguite procedure che appaiono poco trasparenti e difformi da quanto richiesto dall’assessorato regionale della Sanità”. “In soldoni, l’Asp, secondo le disposizioni dell’assessorato, avrebbe dovuto operare i reclutamenti di questi professionisti attenendosi ad un elenco stilato dal Policlinico, redatto in base all’ordine cronologico di arrivo delle domande attraverso la piattaforma telematica universitaria. L’Asp di Messina, invece, anziché seguire l’ordine della lista redatta dal Policlinico, avrebbe mandato delle e-mail, con cui richiedeva la disponibilità all’incarico, a tutti i candidati inseriti in elenco dal Policlinico, prescindendo dall’ordine, creando così un elenco autonomo, redatto in base alla velocità con cui i professionisti avevano risposto all’e-mail”. De Luca ha chiesto la trasmissione degli atti alla commissione regionale Antimafia.

Nulla in contrario alle assunzioni, ma sarebbe interessante conoscere il meccanismo che c’è alla base, capire come “non disperdere queste professionalità”, per evitare – allo stesso tempo – la costituzione di un nuovo bacino di precariato. In sostanza, bisogna spiegare per quali mansioni verranno utilizzati questi professionisti alle prime armi, il cui contributo è stato fondamentale (nessuno lo nega). I numeri attuali, infatti, parlano di: ricoveri azzerati nei reparti Covid; meno lavoro per le Usca (unità speciali di continuità assistenziale), che seguono il paziente ‘positivo’ a domicilio o nelle strutture territoriali; crollo dei tamponi effettuati e dell’attività di screening. Anche sui vaccini, l’impegno è sempre meno spasmodico. Alla Fiera del Mediterraneo, per citare l’esempio più diffuso, si è passati da 6 mila a 2 mila inoculi al giorno (quando va bene). Contestualmente, il commissario per l’emergenza Renato Costa ha pensato, però, di centralizzare in via Sadat tutte le Usca provinciali, generando un cortocircuito con il direttore generale dell’Asp di Palermo, Daniela Faraoni (la questione verrà affrontata oggi in audizione all’Assemblea regionale: pure i sindacati la contestano).

Gli ospedali, in attesa di definire con l’assessorato le nuove piante organiche, vanno verso la conferma dello ‘stato d’emergenza’: il “Cervello” ha prorogato l’incarico a 646 figure professionali, lasciando fuori due medici, un odontoiatra e un infermiere. Costo dell’operazione: 8 milioni circa. Al Civico, uno degli ospedali più grandi della Sicilia, torneranno ancora utili le prestazioni di 52 medici, 284 infermieri, 225 Oss, eccetera eccetera: per un costo di circa 7 milioni. La situazione, con le dovute proporzioni, si replica un po’ ovunque. “Esistono delle direttive nazionali su come deve essere organizzata la forza lavoro e noi siamo in linea o poco sotto – ha spiegato Razza –. Non è vero che abbiamo assunto di più e speso di più, non abbiamo definito noi la natura dei rapporti contrattuali. È previsto per legge che un medico guadagni 40 euro all’ora. Ora potrà variare il rapporto contrattuale, non puoi pagare per le Usca chi farà un lavoro diverso, ma non puoi neanche disperdere queste professionalità”.

Il processo di stabilizzazione di questo personale, composto per lo più da giovani, è lungo e tortuoso. Ma la politica deve assolvere a un impegno ben preciso, secondo l’assessore: “Spero che da parte dello Stato arrivi una norma per chi non ha una specializzazione. Quando finirà la pandemia in Italia si rischia di avere decine di migliaia di laureati in medicina ai quali verrà negato l’accesso al mondo del lavoro. Noi stiamo impiegando non specializzati e la legge prevede che i non specializzati non possano lavorare in ospedale, credo che serva una grande moratoria per fare accedere un maggiore numero di laureati alle scuole di specializzazione, visto che in Italia mancano 45 mila medici. Ma trattarli da invisibili, una volta finita la pandemia, mi sembra ingiusto”. Verissimo.

Per rilanciare il sistema, comunque, bisogna far leva sulla qualità della spesa. E sebbene il bilancio della sanità siciliana, quest’anno, chiuderà in equilibrio, restano molte voci su cui intervenire. Alcune le ha segnalate ieri, l’Ordine dei Medici di Palermo, attraverso il suo vicepresidente Giovanni Merlino. La questione è tutta in due numeri: in Sicilia, ogni anno, il 50 per cento dei pazienti sceglie un’altra regione per curarsi, generando un debito di 230 milioni di euro a carico del sistema sanitario regionale e delle famiglie.  “Si continua a dibattere sull’emigrazione sanitaria come se fosse ancora solo un problema culturale, fingendo di non sapere che la diffidenza dei siciliani oggi ha un fondamento – spiega Merlino –. Carenze strutturali e infrastrutturali degli ospedali, una politica sanitaria concentrata sulla mera edilizia delle strutture completamente sguarnite dei servizi di foresteria e delle strutture ricettive per accogliere i parenti che assistono i malati. Per un paziente e i familiari di un piccolo centro è molto più comodo, economico e confortevole recarsi in altre regioni per sottrarsi ai disagi di un ricovero a Catania o Palermo, dove non esistono le strutture accessorie”.

Secondo l’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, sono oltre cinquemila i malati oncologici siciliani che ogni anno scelgono di sottoporsi a interventi chirurgici fuori dalla Sicilia, privilegiando Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Il fenomeno della mobilità sanitaria è allarmante, e va tarato sulla medicina territoriale “lasciata allo sbando”. Un fenomeno che durante la pandemia e la campagna vaccinale è emersa in tutta la sua gravità. Le difficoltà a reperire medici di base con cui portare avanti l’immunizzazione dei soggetti fragili o degli over-60, rappresenta la cartina tornasole di una sanità convulsa e legata a vecchie logiche che non riescono a massimizzare il profitto: “Se alla migliore offerta sanitaria del Nord – ha detto ancora Merlino – aggiungiamo la poco onorevole vetustà delle nostre apparecchiature di radiodiagnostica e radioterapia, non è difficile capire che il primo investimento strutturale da fare è un investimento culturale su una sanità pubblica che abbandoni l’idea della sanità-posto letto”. Meno ospedali, più territorio: per molti è l’equazione del futuro. Ma qui manca ancora l’esatta percezione del presente.