La forza aggregante di Mario Draghi, il profilo “fascinoso” dell’ex governatore della Banca Centrale, la sua risolutezza spietata e silenziosa, ricompaiono persino a Taormina, al seminario sulle infrastrutture organizzato da Raffaele Stancanelli. Dove, venerdì scorso, ha tenuto banco la questione del Pnrr, con le risorse ‘scippate’ alla Sicilia. Ma non solo: troppo ghiotte le scadenze elettorali – in autunno le Amministrative, l’anno prossimo le Regionali – per restarsene con le mani in mano e fingere che sia tutto come prima.
Fratelli d’Italia, a Roma, è l’unico partito fuori dalla coalizione di governo, ma nessuno sembra farci caso. All’invito dell’ex senatore, oggi al Parlamento europeo, si sono visti Micciché e Cancelleri, il sindaco De Luca e l’assessore Falcone. Persino Giusi Savarino, presidente della commissione Ambiente all’Ars, unica rappresentante di Diventerà Bellissima. Tanti parlamentari nazionali – come la meloniana Tiziana Drago e la forzista Urania Papatheu – ma anche un bel nugolo di deputati regionali: spicca per la sua stazza Antonio De Luca, altro “imbucato” dei Cinque Stelle. Un vero e proprio melting pot: modello Draghi, ‘pentapartito’, giudicate voi. E non inganni l’assenza della Lega: i rapporti con Stancanelli sono ottimi, la linea è comune.
Un clima da comunione fraterna che si manifesta in tutta la sua potenza quando Cancelleri, sottosegretario col broncio per le vicende interne al MoVimento, viene accolto dall’abbraccio di Micciché. Segnali di distensione interrotti da qualcuno del pubblico, che accusa il leader dei Cinque Stelle per la svolta tardiva sul Ponte: “Dove siete stati negli ultimi dieci anni?”. A fargli da scudo l’amico Gianfranco, che nell’arco della mattinata – lenta e afosa – semina indizi fra l’ampia sala che ospita il seminario, il bar all’ingresso, e l’enorme terrazza che si tuffa sul Mediterraneo. La questione è nota: “Una coalizione molto ampia, certamente, favorisce le cose”, esordisce Micciché. “Noi, in questa legislatura, abbiamo avuto una maggioranza risicatissima a causa di una legge elettorale fatta male. Non c’è dubbio che si è fatta un po’ di fatica”.
L’esempio da cui prende spunto il presidente dell’Ars è Draghi. “Il sistema attuale, che vede alla guida una persona assolutamente competente e grandi maggioranze parlamentari, è quello che sta funzionando meglio – riflette Micciché –. E non perché occorra cambiare i parlamentari”, d’altronde sono gli stessi dall’inizio della legislatura. “Ma perché è cambiato un minimo il sistema. Oggi, quando in aula comincia una battaglia fra maggioranza e opposizione, una cosa che si farebbe in un giorno si finisce per farla in un mese. Ecco perché sono felice quando si parla di trasversalità. Stancanelli ha fatto una cosa intelligente chiamando tutti a raccolta”. Il Micciché presidente, in questa fase, prevale sul Micciché uomo di partito. Il pragmatismo ha preso il sopravvento sul gioco delle parti. “Siamo in un momento storico – spiega lui – in cui è impossibile immaginare che una coalizione possa risolvere le cose meglio di un’altra. Non dipende da me se applicare una formula politica o meno, ma non c’è dubbio che la formula “italiana”, con competenza e larghezza di consenso, risulta la migliore in questo momento di crisi vera”.
Per arrivare all’unità manca un segmento: il presidente della Regione. Premesso che – forse – Musumeci non sarebbe venuto per altri impegni (Ambelia), il dato di fatto è che è stato “escluso”. Tra lui e Stancanelli non corre buon sangue da un paio d’anni, dal congresso di Diventerà Bellissima in cui la proposta di federarsi con FdI venne respinta in malo modo dal governatore. Ma anche il rapporto con la Meloni, con Salvini e i rispettivi partiti sembra essersi incrinato. E persino al centro, dalle parti di Romano e di Lombardo, si fa fatica a sfondare. Micciché potrebbe recitare il ruolo di federatore e riportare tutti sulla stessa barca: “L’ho già fatto nel 2017, non le risulta? Ma il centrodestra c’è già, credo che bisognerebbe federare qualcosa di più largo…”. Gli chiedono della candidatura di De Luca, e il commissario di Forza Italia ci ride su: “I messinesi sarebbero felici”.
Ha meno voglia di ridere, invece, quando gli si sbattono in faccia i problemi di questa terra irredimibile. Mentre in sala si parla di Ponte e infrastrutture – Miccichè è d’accordo sul collegamento stabile, “ma prima chiederei a Roma di completare le opere lasciate a metà” – la mente corre altrove: “Se la comunità di Sant’Egidio di Emiliano Abramo mi comunica che ogni sera facevano 300 pasti per i poveri, e adesso ne fanno 3 mila, vuol dire che siamo di fronte a un problema enorme. In quest’anno di pandemia abbiamo perso 11 punti di Pil che significa miliardi… Abbiamo fatto una Finanziaria, l’ultima, con 21 milioni di euro. Stiamo parlando di briciole. Significa che la Regione non può più aiutare. E poiché in Sicilia sono pochi i grandi imprenditori, e tante le attività commerciali che hanno bisogno d’aiuto, il rischio è davvero quello di andare a sbattere. Immaginate cosa potrebbe accadere non appena sbloccano i licenziamenti: spero non accada, ma non posso escludere che nel prossimo autunno la gente prenda d’assalto i supermercati”.
L’Ars ha esitato una legge di contrasto alla povertà, ma la copertura finanziaria è carente: “Stiamo provando a inventarci qualche soluzione legislativa, ma con 10 milioni non possiamo risolvere i problemi – allarga le braccia il presidente –. La questione è un’altra: che molti burocrati della nostra Regione non vogliono assumersi la responsabilità di una firma, e cercano tutti gli strumenti per dire ‘no’. In questo modo stanno consegnando al fallimento, in maniera scientifica, un sacco di imprese siciliane”. E tira fuori un esempio: “Uno fa una comunicazione con sei ore di ritardo, si vede revocare la concessione, e gli tocca licenziare nove persone. Ma è possibile andare avanti così? Ho sentito storie assurde, la gente viene a piangere da me per la disperazione”.
Miccichè usa parole dure, sferzanti. Immagina di guardare negli occhi i burocrati, li sfida: “Dovete capire che ogni ‘no’ significa decine di licenziamenti, che di questo passo faremo la fine della Grecia, e anche il vostro stipendio verrà decurtato del 50% perché non ci saranno più i soldi per pagarvi”. E lancia la sfida alla parte sana dell’Amministrazione: “Io chiedo a tutti i dirigenti seri, a quelli che passano la giornata a cercare di risolvere i problemi, e non cercando il pelo nell’uovo, di denunciare i vostri colleghi che stanno rovinando la Sicilia, e che distruggendo le imprese finiranno per distruggere anche voi. E’ una battaglia che mi fa schifo fare, perché nella mia vita non ho mai fatto processi a nessuno. Ma oggi vedo la gente morire per colpa della burocrazia. Ai dirigenti seri dico di riprendere in mano questa Regione: mandate a quel paese chi vive per togliere ogni speranza ai vostri figli. Chi ha paura di agire e di rischiare non può pretendere il premio di rendimento, perché ha reso soltanto povertà”. Di fronte alla disperazione, tutti i discorsi di politica vengono soffocati da una leggera brezza. Nonostante i 40° di Taormina.