Anno domini 2021: la Corte dei Conti, al termine di un complesso giudizio di parifica, dichiara “non regolare lo Stato patrimoniale” della Regione siciliana. “L’unica certezza”, si legge nella relazione dei magistrati, è “che al momento non si può contare su una pronta visione complessiva della consistenza immobiliare e dello stato di utilizzazione e redditività dei beni, situazione che, peraltro, si perpetua da molto tempo ed alla quale sarebbe giunto il momento di porre finalmente rimedio”. ‘Molto tempo’ significa almeno 15 anni: il 2006, quando Cuffaro è governatore, segna l’avvio della stagione di Sicilia Patrimonio Immobiliare: ossia la società partecipata al 75% della Regione, di cui divenne amministratore delegato Ezio Bigotti, un imprenditore di Pinerolo, che aveva già avuto come consulente – in passato – l’attuale assessore all’Economia, Gaetano Armao. Nonostante (solo) il 25% di Spi sia in mano ai privati, il Bigotti (diventato noto per le vicende Consip e Sistema Siracusa), prende in mano le redini della società: negli anni arriverà a fatturare alla Regione somme per 80 milioni di euro. Ma il lavoro per cui era stato pagato – il censimento del patrimonio immobiliare – non vedrà mai la luce.
Sono passati 15 anni, e molte cose sono cambiate. Tranne una: “E’ inammissibile – si legge nella relazione dei magistrati, controfirmata dal presidente della Sezioni Riunite della Corte dei Conti, Salvatore Pilato – che un ente come la Regione non abbia piena contezza della effettiva consistenza del proprio patrimonio”. Quel censimento-fantasma, che nessuno ha visto al netto di pochi eletti, è un lavoro fatto male. Oltre che inutilizzabile: solo un paio d’anni fa, in prossimità di un’inchiesta della commissione regionale Antimafia, e del pressing della Corte dei Conti medesima (che aveva già chiesto una ricognizione straordinaria) venne dichiarato ‘inservibile’. Questa conclusione, illustrata dall’assessore Armao all’aula di palazzo dei Normanni, arrivò in coda un giallo misterioso: la Spi, a causa di un lungo contenzioso con la Regione, sigillò le informazioni sulla mappatura all’interno di un server inespugnabile, la cui password rimase fuori dalla disponibilità dell’Amministrazione. Una volta recuperata, però, l’amara scoperta: il lavoro di valutazione svolto da Sicilia Patrimonio Immobiliare era riferito alle rendite catastali di 15 anni prima. Così com’era non valeva niente. Pertanto andava aggiornato.
Un tentativo riproposto a più riprese da parte dell’assessore all’Economia, che ha provato a far entrare la “ricognizione straordinaria” del patrimonio in varie leggi emanate dall’Ars (Finanziarie comprese) ma senza troppa fortuna. Il Movimento 5 Stelle, infatti, ha sempre sostenuto che prima di spendere altri soldi, sarebbe stato utile visionare i dati contenuti nel vecchio censimento, e soltanto dopo procedere all’affidamento del nuovo incarico. Non alla Spi, ovviamente, che resta tuttora un ente in liquidazione; tanto meno a Bigotti, che i giudici hanno beccato più volte con le mani nella marmellata (è finito ai domiciliari anche per bancarotta fraudolenta). Si pensò al dipartimento tecnico della Regione, poi al Genio Civile, ma “l’attività non risulta ancora conclusa per nessuna tipologia di beni”, scrivono i magistrati. Questa vicenda, al contrario, è sempre ammantata da un’aura di mistero: a ripescarla dall’archivio storico, di recente, ci ha pensato l’ex direttore generale del Dipartimento Energia, Tuccio D’Urso, l’ideatore del progetto del mega centro direzionale di Palermo.
D’Urso, riferendosi ai fitti passivi che la Regione tutt’oggi versa al fondo Fiprs (cioè il fondo pensioni), ha ritirato fuori la storia delle Cayman. Dichiarando, in pratica, che una buona fetta dei 40 milioni pagati da palazzo d’Orleans per le locazioni passive, finisca a società (‘schermate’ dietro il fondo pensioni) con sede in paradisi fiscali. Il rischio, su cui nessun magistrato ha fatto luce, è che anche ai tempi di Bigotti funzionasse nella stessa maniera. Cioè che le fatture pagate dalla Regione fossero veicolate, attraverso un sistema di scatole cinesi, fino al Lussemburgo. Era lussemburghese la Lady Mary II, cioè la società che aveva il controllo del 45% della F.B. (Finanziaria Bigotti).
E’ chiaro che sono passati troppi anni, e che nessuno ha fatto nulla per smontare questi altarini. Ma è altrettanto logico pensare che dai quei ‘bug di sistema’ derivi l’attuale situazione patrimoniale della Regione siciliana. “E’ ancora irrisolta – scrivono i magistrati contabili – la problematica riguardante la “ricognizione straordinaria del patrimonio” e la conseguente rideterminazione del suo corretto valore (…) Il processo di ricognizione straordinaria prevista per l’avvio della contabilità economico patrimoniale è infatti in itinere per tutte le tipologie di beni: immobili, mobili, oggetti d’arte. Non è stato nemmeno completato l’inventario dei beni immobili dell’ex “Azienda delle foreste demaniali”, il cui valore risulta immodificato negli anni ed è quantificato in euro 2.059.649,78; si tratta chiaramente di un valore inattendibile”. “Per i beni immobili – continua la relazione – non risulta neppure definita la migrazione delle informazioni dalle scritture contabili presenti solo su supporto cartaceo alle previste nuove scritture contabili informatiche”. Questa procedura si è rivelata un fallimento su tutta la linea o, per dirla con il pubblico ministero Pino Zingale, “il puntuale lavoro svolto in sede istruttoria fa emergere l’inattendibilità dello Stato patrimoniale della Regione siciliana al termine dell’esercizio 2019”. La sentenza, senza appello, si abbatte su una carenza cronica che il governo Musumeci, al netto delle responsabilità del passato, conosceva bene. E di fronte alla quale non può continuare ad auto-assolversi, scaricando le responsabilità sui predecessori.
Armao, fra l’altro, è stato l’assessore al Bilancio per un paio d’anni nel governo di Raffaele Lombardo e fu il primo – vantandosene lui stesso – a interrompere i pagamenti nei confronti di Sicilia Patrimonio Immobiliare, innescando un cortocircuito. La Regione, qualche anno fa, fece causa a Spi per un lavoro “fatto male e in ritardo”, ma una sentenza della Corte d’Appello di Roma, maturata in seguito a un lodo arbitrale, la condannò a pagare ulteriori 12 milioni. A questa decisione Palazzo d’Orleans ha scelto di contro-appellarsi (tecnicamente si chiama “riconvenzionale”), ma nessun giudice si è ancora espresso. I 12 milioni sborsati da Mamma Regione vanno ad aggiungersi agli 80 già fatturati a Bigotti, per la sola attività di censimento, e ai 15 pagati a Spi per la rendicontazione e svendita dei 33 immobili del fondo Fiprs, che la Regione decise in un secondo momento di ri-affittare (e che paga tuttora). Aggiungendo un’altra manciata di milioni per oneri accessori, si arriva facile facile a 110. Uno scandalo di portata storica. E le cui refluenze, ancora oggi, sono tangibili.
“Da due anni Musumeci e Armao vivono in un mondo tutto loro – sottolinea il deputato del M5s Nuccio Di Paola, che sul censimento-fantasma ha presentato svariati atti parlamentari – Non si spiega diversamente il fatto che, pur in assenza di un censimento del patrimonio, la loro unica preoccupazione sia proporre un mega centro direzionale a Palermo. Il cui iter, fra l’altro, è bloccato”. Di Paola parla del progetto di Tuccio D’Urso, che dopo aver celebrato il concorso internazionale sulla progettazione, è fermo alla casella del via per un presunto conflitto d’interessi fra il presidente della commissione aggiudicatrice e il raggruppamento vincitore. Senza andare troppo oltre, è chiaro l’equivoco: “C’è una Sicilia – spiega Di Paola – in cui 650 mila persone vanno avanti con il reddito di cittadinanza, gli Asu si vedono impugnare per l’ennesima volta una norma che garantirebbe la loro stabilizzazione, i tirocinanti dell’Avviso 22 non riescono a percepire un assegno da 500 euro, e gli assistenti igienico-personali degli studenti disabili sono fermi. E ce n’è un’altra, quella di Musumeci e Armao, dove le questioni più serie vengono affrontate con leggerezza – vedasi Forestali – e l’unica preoccupazione tangibile è organizzare manifestazioni per lanciare la propria candidatura alla presidenza, o stringere accordi con la Lega. Ci ha pensato la Corte dei Conti a sbattergli in faccia la realtà”. Amen.