Nessun commento ufficiale, in attesa del dispositivo della sentenza che – per le verità – era già scaricabile ieri pomeriggio dal sito della Corte dei Conti. Nessun proclama, per non spingersi troppo oltre. La Regione è ferma, paralizzata, impaurita. Di fronte agli ultimi rilievi, una ventina, che mettono a ferro e fuoco il rendiconto 2019. Ma non solo quello. Le irregolarità segnalate dalle Sezioni Riunite, infatti, potrebbero avere una ricaduta a cascata sulle gestioni successive. Sul presente e sul futuro di quest’Isola, che già gode di scarsa salute, ha il grosso della spesa congelata e non ha più gli uomini – intese come risorse – per portare avanti la macchina amministrativa. Serve uno sforzo abnorme per non vedere tutto nero, per parare i colpi della magistratura contabile che, attraverso il pubblico ministero Pino Zingale, parla di “conclamata instabilità finanziaria” e, dopo i convenevoli iniziali, scaglia saette su Musumeci e Armao, presenti in aula al momento della parifica. Arrivando a chiedere la bocciatura del rendiconto.
I giudici, però, evitano lo sgambetto che farebbe saltare per aria il sistema. E parificano il Bilancio con l’esclusione, intanto, del risultato d’amministrazione, “il quale è dichiarato irregolare per l’insufficiente, oppure per l’omessa contabilizzazione degli importi che si procede ad elencare”. E qui parte la rassegna degli errori. Una sfilza di pasticci, equivalente a somme mancanti. Per la parte accantonata, viene citata una carenza da 315 milioni sul Fondo Contenzioso, l’omessa istituzione e quantificazione di 102 milioni sul Fondo rischi, un’altra carenza da 35 milioni sul Fondo crediti si dubbia esigibilità. Un capitolo che da solo vale 450 milioni. Mancano pure 142 milioni per “vincoli derivanti da trasferimenti”.
Inoltre, nonostante gli avvertimenti dei mesi scorsi e il ritiro in autotutela del primo rendiconto a causa di alcuni residui attivi non cancellati (per 319 milioni, all’epoca), il problema si ripropone: l’assessorato alle Infrastrutture ha commesso una “svista” da 1,2 milioni, a cui se ne aggiungono di più snelle dai Beni culturali e dall’assessorato alla Famiglia. Altre partite contabili, dichiarate irregolari, sono il fondo perdite società partecipate, il fondo residui perenti e numerose spese riferite al sistema sanitario regionale di cui Zingale segnala “il livello di approssimazione che caratterizza la gestione delle risorse pubbliche e una totale mancanza di visione e controllo strategico”. Anche la contabilizzazione del conguaglio negativo Irpef (per 182 mila euro) diventa una partita al lotto, mentre risultano “non regolari” lo Stato patrimoniale e il Conto economico.
Ma non è tutto, perché in fondo al dispositivo, compare una voce preoccupante. I magistrati relatori, e il presidente delle Sezioni riunite, Salvatore Pilato, “accertano che il disavanzo e le quote di disavanzo non recuperate, relative al rendiconto 2018, da ripianare nell’esercizio 2019 sono pari a euro 875,3 milioni”. Un presagio catastrofico che, però, merita una lettura più approfondita. La segnalazione dei giudici contabili fa riferimento al periodo precedente all’Accordo Stato-Regione, cioè quello che ha consentito di spalmare il disavanzo in 10 anni, chiuso il 14 gennaio scorso. Con cui la Regione è riuscita a scaricare circa la metà di questa quota di disavanzo riferita al 2019: rimarrebbero 449 milioni ‘effettivi’ da accantonare (un procedimento di cui la Corte dei Conti non riconosce la validità). La domanda è “come”. E soprattutto “quando”.
Per ripianare queste ingenti perdite, che nel complesso si avvicinano al miliardo, servirebbe una super manovra correttiva, con effetti devastanti sui capitoli di spesa ancora “congelati” (ad esempio quelli dell’ultima Finanziaria). Ma è improbabile che si arrivi a tanto. La Regione, che per il momento non commenta, preferirebbe un paio di opzioni: la prima prevede un ricorso di fronte alle Sezioni riunite della Corte dei Conti in speciale composizione, un organismo romano chiamato a pronunciarsi su queste controversie; il secondo è trovare un accordo con lo Stato – Armao confida sempre sui buoni rapporti con la ministra Gelmini – per arrivare quanto meno alla spalmatura della quota restante di disavanzo (i 449 milioni). La macchina ha le ruote bucate e il motore fuso: rimetterla in carreggiata è un tentativo disperato, che va comunque fatto. La notte più buia è appena cominciata.