“Sono turbato ancora oggi se ripenso a ciò che è stato omesso di fare, da tutte le autorità dello Stato a Palermo, nonostante le numerose segnalazioni ricevute ripetutamente da me e dai miei uffici, a partire dal ministro Scotti, sulla tutela e sorveglianza al dottor Borsellino”. Lo ha detto Claudio Martelli durante la sua audizione alla Commissione regionale antimafia sulla strage di via D’Amelio. Ascoltato dal presidente Claudio Fava, nell’ambito dell’inchiesta che prova a ricostruire i buchi delle indagini e gli eventuali depistaggi, l’ex ministro dell’Interno – senza troppi giri di parole – ha affermato che Borsellino è stato ucciso da “un’omertà più o meno consapevole”.
Lo stesso magistrato – dopo averlo appreso da un incontro fortuito col deputato Salvo Andò – si lamentò col capo dei pm di Palermo, Pietro Giammanco, per avergli nascosto l’informativa dei Ros che parlava dell’arrivo del tritolo a Palermo. “Doveva essere messa in atto una protezione di Borsellino – dice ancora Martelli – ritenendo che fosse il nuovo bersaglio dopo la strage di Capaci”. E ricorda: “Dopo la strage Borsellino volai a Palermo e feci una intemerata – dice – affrontai tutti di petto. Tutti i presenti vertici, dai carabinieri alla Polizia di Stato, ai procuratori, ai servizi segreti”. Per Martelli “era inammissibile a inaccettabile, per colpevole incuria o di qualcosa di peggio, di non aver provveduto nemmeno a sorvegliare la casa della madre di Borsellino. Ottenni solo la rimozione del Prefetto, se non ricordo male”.
Martelli dedica un passaggio anche alla Trattativa Stato-Mafia, partendo però dai suoi rapporti con l’ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro: “Io ho indizi, non ho le prove. Ma credo di essere stato sempre inviso a Oscar Luigi Scalfaro e credo che lo fosse altrettanto il ministro Vincenzo Scotti – riporta l’Adnkronos -. Non credo Scalfaro fosse un uomo intemperante, non sino al punto di spingersi a ostracizzare due ministri, salvo che appartenesse a quella schiera di politici prevalentemente democristiani i quali ritenevano che Scotti e io avessimo turbato se non la pax mafiosa”. “C’era la convinzione – prosegue nel racconto l’ex ministro – che alcuni fanatici servitori dello Stato, i Montalto, i Dalla Chiesa, i Mattarella, e persino io e Scotti, turbassero la coabitazione quarantennale fra Cosa Nostra, una parte dello Stato, pezzi dello Stato, politici, magistrati, poliziotti. Non credo che ci fu una trattativa, non ho mai creduto che si fossero messi a trattare. Il fatto che il generale Mori abbia riferito di avere detto a Vito Ciancimino ‘ma dobbiamo continuare a fare muro contro muro’ mi fa ridere, ma non credo che abbia trattato. Lo Stato non tratta, l’avrà fatto a titolo personale”.