Lungi da noi l’idea di voler prendere posizione su quello che Giancarlo Caselli su “La Stampa”, parafrasando il vate Gadda, definisce “Quer pasticciaccio brutto der Csm”.
Da cronisti inoltre siamo inevitabilmente contrari a tutti i segreti d’ufficio, d’indagine, di Stato, cioè il nostro mestiere è raccontarli i segreti, altri fanno il mestiere di custodirli. So che questo è cinismo da vecchio giornalista, ma uno alla fine s’affeziona ai propri difetti.
Tuttavia ci incuriosisce, ci intriga, c’appassiona la svolta garantista di Travaglio che da qualche settimana ha spostato il suo giornale, “Il Fatto Quotidiano” dal fronte manettaro e giustizialista a quello garantista, specie se da garantire ci sono persone non invise alla testata tipo il figlio di Grillo. Analoga linea è stata sposata sul “pasticciaccio”.
Una delle poche cose certe e pacifiche in questa storia infatti è che il Pm di Milano Storari ad un certo punto ha consegnato una copia dei verbali con le dichiarazioni secretate di Amara a Piercamillo Davigo, membro del Csm, leader della corrente dei puri e duri, autore della famosa frase “Non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non sono stati ancora scoperti”.
Qui ci limitiamo a prendere atto che il Pm di Milano ha consegnato a persona estranea al processo, privatamente e irritualmente, un documento coperto da segreto di indagine.
E veniamo all’editoriale di Travaglio, dinanzi al quale ci inchiniamo per la duttilità di pensiero, per la versatilità dell’argomentare, per la disinvoltura nel giustapporre, per l’ironia nel puntualizzare.
Come Smilla Qaavigaaq Jaspersen, originaria della Groenlandia, protagonista del famoso romanzo di Peter Høeg “Il senso di Smilla per la neve” ha moltissimi termini per quella che noi chiamiamo solo neve, allo stesso modo Travaglio nel suo editoriale “Csm: Ciechi Muti Sordi” usa diverse allocuzioni per spiegare la non violazione del segreto. Vediamole.
Storari non viola il segreto “per autotutela”, perchè il Procuratore di Milano non starebbe indagando abbastanza, e quindi lui passa la carte di nascosto Davigo.
Davigo in quanto membro del Csm – puntualizza Travaglio – “è tenuto a custodire il segreto”… che però non avrebbe dovuto conoscere.
Custodendo il segreto, leggiamo, “Davigo scopre che Amara tira in ballo suoi colleghi del Csm, il suo compagno di corrente Ardita e Mancinetti. Quindi – e qui ci sta una standing ovation per Travaglio – non può seguire le vie formali, cioè investire tutto il Csm con una relazione di servizio. Altrimenti i due consiglieri verrebbero a sapere delle accuse (o calunnie) a loro carico. E lui commetterebbe due reati: violazione di segreto e favoreggiamento personale”.
Ci inchiniamo all’arte. Cioè Davigo che non doveva conoscere i verbali secretati ma se li prende e se li legge non commette reato, non fa ciò che dovrebbe fare (la relazione di servizio) e non commette reato. Commetterebbe reato se denunciasse l’accaduto come prevedono prassi e regolamenti. Grandioso.
E quindi? Davigo per non violare il segreto comincia a raccontare privatamente e riservatamente quello che c’è nei verbali. Lo racconta al vicepresidente del Csm Ermini, al Pg della Cassazione Salvi, al primo presidente della Suprema Corte Curzio. Ermini avrebbe riferito anche al Quirinale. E così finora i verbali secretati di Amara su una loggia segreta con dentro magistrati anche del Csm sono a conoscenza già di quattro componenti del Csm più si suppone il presidente, cioè il Capo dello Stato.
Continuando nella narrazione del suo senso per il segreto, l’editoriale del Fatto ci informa che Davigo “dice qualcosa anche ad altri tre consiglieri che gli chiedono perché non parla con Ardita, vincolando anch’essi al segreto”. Cioè gli rivela un segreto d’ufficio che lui non dovrebbe conoscere vincolando i tre – e siamo a 8 consiglieri del CSM informati – ad un segreto che lui sta violando in quel momento.
I sofisti a Travaglio non dico cosa gli facevano.
Poi “lo mandano in pensione”. Cioè Davigo va in pensione per raggiunti limiti di età a 70 anni. Ma quel “lo mandano in pensione” lascia intendere che qualche potere oscuro abbia brigato per toglierselo di torno. Per la precisione, Davigo, pensionato dalla magistratura, voleva restare al Csm come membro “togato”, ma non gli fu concesso e c’è pure una causa in corso.
Ma il segreto dei verbali non smise d’essere segreto perché la segretaria di Davigo al Csm (e moglie di un giudice), appena il magistrato andò in congedo pensò bene di distribuire – di sua sponte? su indicazione di qualcuno? – i verbali ai giornali. Quindi si suppone che Davigo, “mandato” in pensione, lasciò i verbali segreti nel suo ufficio, nella disponibilità della sua segretaria e di chi chissà di altri?
E’ chiaramente un “gomblotto” secondo “Il Fatto” che non si spiega perché contestano solo oggi a Davigo di “aver sbagliato qualcosa” ma – altra standing ovation – “senza perforare il segreto sulle indagini”.
Certamente in questa storia di guerre fra giudici è difficile salvare qualcosa o qualcuno. Tranne il maestro Travaglio, mia icona professionale, che ha un senso del segreto spettacolare.