Prima o poi bisognerà fare i conti con l’emergenza. La deadline è già fissata al primo maggio, ma come sempre accade in Sicilia, si farà il possibile per spostare l’asticella un po’ più in là. Centocinquanta comuni, tra cui Catania, rischiano di rimanere senza una discarica in cui abbancare i propri rifiuti indifferenziati. Quella di Lentini non ha più spazio e la Sicula Trasporti – la società dei Leonardi che, in seguito all’inchiesta Mazzetta Sicula, si trova in amministrazione giudiziaria – provvederà a chiuderla. Gli oltre quattro milioni di metri cubi previsti per l’abbancamento della monnezza sono ormai saturi e la richiesta di ampliamento (per arrivare a circa il doppio) presentata dai vecchi proprietari, che sono accusati di traffico di rifiuti e corruzione, langue nei cassetti della Regione. O meglio, della commissione Via-Vas presieduta dal professor Aurelio Angelini, cui Musumeci, all’inizio del suo mandato, ha affidato l’incarico più arduo: valutare l’impatto ambientale delle discariche e dire qualche ‘no’. In effetti, sull’ipotesi di ampliamento alla discarica di Lentini (che ne ha già ricevuti tre fra il 2011 e il 2018) pendono 33 osservazioni che sarà difficile superare in tempi brevi.
Ma il paradosso di questa terra dissennata è che, dopo aver ‘fatto fuori’ i Leonardi per via giudiziaria, alla Regione non resta altra alternativa che trasportare la spazzatura dei comuni (che, altrimenti, finirebbero sommersi in pochi giorni) in altre discariche, anch’esse private: quella di Siculiana, nell’Agrigentino, di proprietà della famiglia Catanzaro; e quella fra Motta Sant’Anastasia e Misterbianco, in provincia di Catania, dove i Proto fanno il bello e il cattivo tempo. Sono gli stessi che nel 2019, prima che venissero depositate le motivazioni della condanna di Mimmo Proto (6 anni in primo grado per un giro di mazzette che coinvolgeva pure un ex funzionario regionale), hanno ottenuto un rinnovo decennale dell’Aia (l’autorizzazione di impatto ambientale). Una parte dei rifiuti in eccesso finirà inoltre nella discarica pubblica di Gela. Pubblica come quelle che Musumeci avrebbe dovuto realizzare in quattro anni di legislatura – ma la Regione continua a incolpare le Srr, che avrebbero dovuto occuparsi di pianificazione – per porre fine al predominio dei privati e che, invece, sono rimaste incise nel libricino dei sogni della campagna elettorale.
Il perché ha provato a spiegarlo Claudio Fava, durante una conferenza organizzata un paio di giorni fa assieme a Pd e Movimento 5 Stelle: “Quello che emerge, dall’azione politica del governo regionale, è un sistema basato su monopoli privati della gestione dei rifiuti. La centralità delle discariche – ha detto il deputato dei Cento Passi – non viene scalfita, anzi Musumeci ha operato con deroghe e ampliamenti delle strutture esistenti. Nel mentre non un solo intervento nell’impiantistica pubblica è stato fatto. Un disastro che finisce per essere pagato due volte dai siciliani: con le tariffe più alte d’Italia e con i servizi più scadenti”. Ma soprattutto, dall’operato del governo emerge una volontà: “Dal punto di vista del consenso – sostiene Fava – non c’è alcun interesse a intaccare alcuni diritti consolidati”. Quelli dei privati, va da sé. Che anche alla fine di questa annosa emergenza, qualora si decidesse di dare seguito al piano dei rifiuti di recente adozione, potrebbero uscire dalla porta e rientrare dalla finestra. Presentando, ad esempio, dei progetti per la costruzione di uno o due termovalorizzatori. Dato che la Regione, soprattutto sotto il profilo economico, non sembra avere le carte in regola (né il tempo, con il mandato in scadenza a fine 2022) per farlo. “In quattro anni – ha detto Trizzino, del M5s – Musumeci non è riuscito a fare un buco per la settima vasca a Bellolampo, figuriamoci se riesce a fare un termovalorizzatore”.
A sbrogliare questa immensa matassa – fra discariche esaurite (compresa quella di Palermo), costi ingenti, e differenziata che non decolla (specie nei tre comuni metropolitani) – è rimasta Daniela Baglieri, l’assessora all’Energia di recentissima nomina. Che ieri, in una delle sue prime comparse in Assemblea, ha spiegato che no, “non c’è alcuna emergenza, l’abbiamo tamponata”; e sta producendo uno sforzo immane per entrare nei meccanismi e trovare dei rimedi. Il primo è prolungare l’operatività di Lentini per un altro paio di settimane, allo scopo di non gettare 150 sindaci nello sconforto più totale; poi, definire un nuovo piano di conferimento della frazione secca nelle tre discariche di cui sopra; e infine, fare in modo che questi rifiuti siano trasportati fuori regione. Un’ipotesi preannunciata dallo stesso Musumeci.
Nessuno, però, ha ancora risposto all’avviso pubblico esplorativo pubblicato dal dipartimento regionale Acqua e Rifiuti, volto all’individuazione di operatori economici che svolgano attività di trasporto, recupero e/o smaltimento al di fuori del territorio regionale. L’extrema ratio, che però – come sollevato da alcuni sindaci, fra cui quello di Messina, Cateno De Luca – porterà a un inasprimento delle tariffe a carico dei cittadini. Il costo della Tari potrebbe triplicarsi. A meno che la Regione non s’inventi qualcosa: la proposta di accantonare 45 milioni di fondi strutturali (soldi che l’Europa ha destinato agli investimenti) per togliere di mezzo la monnezza, però, sarebbe l’ennesima magra figura. Prevedere cosa accadrà è difficilissimo (i Cinque Stelle hanno richiesto una seduta all’Ars per discuterne). Il governo, infatti, non ha provveduto alla pubblicazione del bando per il trasporto fuori regione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, cioè l’unico modo per dare risalto all’iniziativa. Segno che siamo lontani da una piena consapevolezza sul percorso da seguire. E’ più comodo galleggiare, mantenere i toni bassi, evitare che la polemica travalichi i confini. E attenersi allo schema di sempre: cioè prendere tempo.
Non è servito fin qui il piano dei rifiuti, che pure dovrebbe regolare la gestione dell’impiantistica, “consigliando” quali impianti fare e dove. Secondo Giampiero Trizzino, che è deputato regionale dei Cinque Stelle ma anche facilitatore nazionale sui temi per l’ambiente, il documento appena partorito – dopo una lunga trafila fra Ministero dell’Ambiente e Cga – “incide zero. E a dirlo non sono io, ma il fatto che a meno di una settimana dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, viene dichiarato uno stato di emergenza di ben 12 mesi con il quale si impone di spedire i rifiuti fuori dall’Isola. Senza contare che stiamo parlando di un Piano i cui dati risalgono al 2018, cioè vecchi di tre anni. In altre parole, un documento assolutamente inutile”.
Come inutile rischia di diventare la riforma della governance dei rifiuti, che prevede l’archiviazione delle Srr – cioè le società consortili che si occupano del settore (ne esistono 18) – per fare spazio alle nuove autorità d’ambito (Ada), a cui spetterà il compito di individuare le iniziative volte a prevenire e ridurre la produzione dei rifiuti, a favorirne il riutilizzo, il riciclo ed il recupero; ma anche a definire, approvare e riscuotere le tariffe. Non è chiaro, però, quanto tempo servirà per la transizione del personale dalle Srr, un soggetto di diritto privato, alle Ada, il nuovo soggetto di diritto pubblico (considerato il fatto che le procedure d’accesso dovrebbero avvenire per concorso). Mentre l’altro aspetto contestato dalle opposizioni è la decisione di far coincidere ogni Ato (Ambito territoriale ottimale) con le nove province. Un accorgimento, secondo il centro studi dell’Ars, che “si discosta da quanto indicato negli atti del governo e delle altre autorità nazionali, e cioè con l’indicazione contenuta nella diffida del Governo del 7 agosto 2015 che indica l’opportunità di costituire non più di cinque ambiti”. Si tratta di dettami tecnici che manifestano le profonde divisioni in seno al parlamento (già una volta il Ddl si è arenato all’articolo 1) e fanno venir meno il senso dell’operazione: cioè ridimensionare il peso dei privati e istituire un processo virtuoso che consenta alla monnezza di diventare una risorsa.
“Siamo preoccupati – ha detto il segretario del Pd, Anthony Barbagallo – perché non sono previsti obiettivi per la raccolta differenziata, e si punta alle discariche ma senza prendere in considerazione il fabbisogno dei territori”. Sulla differenziata, altro snodo cruciale dell’emergenza, solo i piccoli comuni fanno registrare passi avanti. Da Palermo, Catania, Messina e Siracusa, invece, traspaiono difficoltà enormi. Per questo il dirigente del dipartimento ai Rifiuti, Calogero Foti, ha inviato una nota ad Ato e Srr con un messaggio preciso: “Attrezzarsi per produrne meno”. Che significa, inoltre, individuare impianti alternativi alle discariche. Ma i soldi e i progetti chi ce li mette? Spetterà mica alla Regione?