Cosa c’entra Antonello Montante, il principe finto dell’antimafia, con la bufera sulla sanità siciliana? E coi dati fasulli che fino all’altro ieri hanno infarcito il bollettino nazionale con 258 morti mai conteggiati prima? Apparentemente nulla. Eppure, l’ex leader di Sicindustria, che sta scontando la sua condanna a 14 anni per corruzione, e che tuttora risulta al centro di un filone d’inchiesta che vede coinvolto, a Caltanissetta, anche Rosario Crocetta (da indagato), è puntualmente tirato in ballo nelle cronache regionali. Al presidente Musumeci, che non sta più riuscendo a gestire – da solo – una pandemia inattesa quanto problematica, serve uno sfogatoio. Come diceva un vecchio allenatore di calcio brasiliano, “la miglior difesa è l’attacco”. E così ecco il nuovo cavallo di battaglia: Montante. O meglio, il sistema Montante. Quello che, durante la scorsa legislatura, e stando alle carte dei magistrati, ha creato un governo parallelo grazie al quale l’imprenditore di Serradifalco ha messo in atto “un meccanismo perverso di conquista del potere che, sotto le insegne di un’antimafia iconografica, ha sostanzialmente occupato, mediante la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali a nazionali”.
Quelle che emerge dalle motivazioni del Gup di Caltanissetta, Graziana Luparello, è un bel quadretto. Ma cosa c’entra con la pandemia? A Musumeci nessuno l’ha ancora chiesto. Se da un lato il governatore è disgustato dalla ricerca del consenso, e dice di non perseguirla, dall’altro utilizza Montante come leva per screditare l’opposizione, che in questi giorni – traendo spunto dall’inchiesta di Trapani e dalle numerose inefficienze organizzative della sanità siciliana – si è rinsavita ed è tornata all’attacco. Vale soprattutto per il Pd, che con Montante più o meno c’ha avuto a che fare. Ma la strategia del presidente della Regione è un indicatore sociologico e politico delle sue difficoltà a muoversi, ad argomentare, a fornire dati reali e risposte convincenti. Tirare all’interno del dibattito politico Montante, Lumia o lo sbiancamento anale di Crocetta (che se fosse vero, risulterebbe quanto meno curioso), però, potrebbe apparire come un mezzo di distrazione di massa. O persino come un tentativo logorroico di far ricadere su altri le proprie responsabilità. Sarà mica questo?
Il rischio è di tornare al punto di partenza: che c’azzecca la sinistra (pessima) di Crocetta con l’emergenza sanitaria? Il governo Musumeci avrà pure ereditato il disastro dei conti – ci torneremo, perché merita – o dei carrozzoni inutili, ma far ricadere le proprie evidenti sbavature in materia sanitaria su Crocetta e Lumia, e solo perché il Pd s’è ridotto a una critica aspra, proprio no. E’ un tentativo (volontario) di mandare fuori strada, di alimentare il dissenso. Potrebbe senz’altro allontanare una fetta di opinione pubblica dal votare, al prossimo giro, la sinistra. Ma difficilmente potrà riabilitare l’azione di governo di Musumeci rispetto alle terapie intensive, al contact tracing, ai dati ballerini, alla totale mancanza di ristori. Il governatore però insiste, persegue la strategia fino in fondo. Risponde a tono alla richiesta di dimissioni, alle petizioni online, alle campagne sui social: “Gli sciacalli sono ovunque – ha detto l’altro giorno in conferenza stampa – anche a Roma. Qualcuno pensa di poter formalizzare la richiesta di commissariare la sanità siciliana, che ha soltanto commesso l’errore di non avere mai parlato di cerchio magico, di non imbastire campagne a favore di qualche privato, o che ha in torto di non essersi mai occupato di particolari trattamenti di chirurgia plastica”.
Aridaje con lo sbiancamento. Un tema utilizzato anche in aula, e che ha provocato la reazione di Crocetta: “Non ho mai querelato un politico, ma ora sono stanco e stufo – ha dichiarato il predecessore di Musumeci in una intervista a ‘La Sicilia’ -. Lo faccio, e lo farò, d’ora in poi, con chi offende la mia dignità. Dal mio ingresso in politica sono stato massacrato: un omosessuale condannato a subire l’omofobia. Ma quando nell’aula di un parlamento si arriva a usare un pettegolezzo, è tutto finito”. Un pettegolezzo, già. Ma è il linguaggio ad essere diventato inutilmente volgare, scaduto, isterico. Sembrano toni da campagna elettorale, non da “guerra”. La pandemia imporrebbe serietà, coscienza, pragmatismo. Invece ci siamo persi nei meandri del sistema Montante. Che Musumeci, fra l’altro, avrebbe già potuto segnalare (e contrastare) nella scorsa legislatura, da presidente della commissione regionale Antimafia. Ecco cosa disse l’attuale governatore, il 27 maggio, quando il procuratore Amedeo Bertone lo convocò in veste di persona informata sui fatti: “Ritengo che il regista politico di quello che io ho definito il cerchio magico è il senatore Lumia, che addirittura, ho saputo parlando con personale in servizio a Palazzo d’Orleans, avere a disposizione una stanza nello stesso piano in cui vi era Crocetta, ove riceveva persone, anche in sostituzione dello stesso”. Musumeci accenna pure a un incontro con Montante, avvenuto il 29 luglio 2014 (un anno prima che il caso esploda), allo Charme di Palermo: “Mi confidò di aver sostenuto e finanziato la candidatura di Crocetta”.
Ma nelle carte dell’inchiesta compaiono sette annotazioni che accomunano lui a Montante, tutti di diversa natura. Il primo contatto è del 2012, dopo le presentazioni di Adolfo Urso. Nel 2014, poi, Montante arriva a offrire un provino teatrale al figlio di Musumeci. Nel 2015, durante un vertice nella sede di Confindustria Sicilia, all’attuale governatore venne presentato il direttore di Unicredit “al quale anticipai un incontro per concordare un piano di ristrutturazione del debito assunto per le spese di campagna elettorale e personali. Montante mi disse in tono ironico di lasciar perdere il direttore di Unicredit e che mi avrebbe messo in contatto con un suo fidato consulente bancario”. Ma il presidente della Regione accenna anche alla volta in cui l’imprenditore nisseno “mi disse che, sebbene fossi all’opposizione, se avessi avuto bisogno l’assessore alle Attività produttive, che all’epoca era Linda Vancheri, era a mia disposizione”.
Un altro membro dell’attuale governo compare nelle carte: si tratta dell’assessore all’Economia, Gaetano Armao. Il quale, per criminalizzare un avversario, usa il trucco di rinfacciargli l’amicizia con Montante. Ma dimentica che lui, Armao, ha avuto un filo diretto con l’ex presidente di Confindustria. Una traccia importante del sodalizio è venuta fuori dal verbale di Vincenzo Conticello, ex proprietario dell’Antica Focacceria San Francesco, eroe antiracket, funzionario “comandato” all’assessorato alle Attività produttive. Uno dei testimoni chiave della seconda tranche del processo. Che, dopo la fine dei rapporti con l’ex paladino antimafia, riferisce di ricevere notizie dal suo notaio, “che era stata presentata a Montante dall’assessore Gaetano Armao”. Oggi, però, Montante non è soltanto un esempio della peggiore antimafia, che i tribunali giudicano e giudicheranno. Diventa, per Musumeci, il ricettacolo delle nefandezze della sinistra. Della sua incapacità di esprimere una classe dirigente all’altezza o di governare una terra distrutta, che in questi ultimi tre anni e mezzo – però – il presidente non è riuscito a risollevare. Per colpe proprie? Macché, per colpa di chi c’era prima. Prendete i bistrattati conti della Sicilia.
Il 14 gennaio 2021, dopo tanto peregrinare, Musumeci e l’ex premier Conte firmano l’accordo Stato-Regione, che sancisce l’opportunità di spalmare in dieci anni il disavanzo monstre da 1,7 miliardi accumulato dalla Regione. “Si tratta di una intesa articolata e radicale che pone riparo a decenni di allegra gestione delle finanze regionali”, disse il governatore”. Assessore al Bilancio negli ultimi tre anni e mezzo, ma anche dal 2010 al 2012 (sotto il governo Lombardo) è Gaetano Armao. Il suo vice. Fa parte anche lui delle allegre gestioni? A quanto pare no, dato che l’esponente di Forza Italia, che il partito non riconosce più, è l’unico a non pagare le continue bocciature del Ministero dell’Economia e della Corte dei Conti. E’ l’unico a resistere. Tanto è sempre colpa di Baccei, l’ex assessore voluto da Matteo Renzi, con cui “si creano le precondizioni per il default della Regione siciliana nel 2018-19”. E di chi è colpa se qualche settimana fa, alla vigilia dell’appuntamento con la parifica, la giunta fu costretta a ritirare in autotutela il rendiconto 2019 a causa di alcuni errori contabili per 300 milioni? Chi aveva dimenticato – questa volta – a cancellare i residui attivi?
E di chi è colpa – per venire a temi più recenti e noti – se metà della Finanziaria di guerra, approvata lo scorso anno dall’Ars, è rimasta in ghiaccio? O se il meccanismo del click-day per l’erogazione del Bonus Sicilia ha fatto cilecca? O se il dipartimento al Lavoro non è riuscito a erogare per tempo la cassa integrazione in deroga ai siciliani? O se le imprese siciliane non vedranno il becco di un quattrino finché i ristori promessi (250 milioni) non saranno riprogrammati? E di chi è colpa se meno della metà degli ultraottantenni siciliani ha ricevuto la prima dose di vaccino? O se si creano file interminabili fuori dagli hub vaccinali? O se molte delle leggi prodotti dal governo e dall’Ars vengono puntualmente impugnate? Ma che domande: è colpa di Montante. E un po’ anche di Crocetta.