“Il Comune di Realmonte continuerà a difendere la Scala dei Turchi, rivendicando la proprietà in sede civile, continuando ad occuparsi come sempre, di una corretta gestione e fruizione del sito”. Lo ha dichiarato il sindaco di Realmonte, Sabrina Lattuca, in merito all’esito della consulenza tecnica depositata dai periti del Tribunale di Agrigento, nel procedimento penale a carico di un privato cittadino in cui il Comune risulta parte offesa. L’esito della contesa, però sarà noto soltanto il 21 aprile.
Un anno fa la Procura di Agrigento sequestrò la scogliera, contestando una sfilza di reati a chi sosteneva di essere il proprietario, Ferdinando Sciabarrà, 73 anni, pensionato della Camera di commercio ed ex giudice onorario. Ma ora la questione si è ribaltata. I due periti nominati dal gip Luisa Turco danno in parte ragione a Sciabarrà, riconoscendogli i titoli di proprietà su una particella catastale della scogliera (anche in base a un misterioso testamento di 150 anni fa); dall’altra sottolineano come non esista sul bene invidiato da tutto il mondo una dichiarazione di pubblica utilità. L’indagato, come riferiva il pm Patronaggio nel giorno del sequestro, “non ha mai tutelato questo bene, né da un punto di vista paesaggistico, né per quanto riguarda la tutela dell’incolumità. Riteniamo – concluse il pm – che soltanto un custode pubblico possa mettere in essere le misure volte a salvaguardare l’incolumità della gente, solo il custode pubblico può garantire che il sito non venga danneggiato e possa stabilire una ordinata fruizione al pubblico”.
Il provvedimento giudiziario del 27 febbraio dello scorso anno, che di fatto inibì ai turisti di “arrampicarsi” sulla marna bianca (compresi i vip: ricordate la Hunziker?), venne definito un “atto d’urgenza” necessario a mettere in sicurezza un sito che “ha una valenza paesaggistica, storica, archeologica, geologica ed è molto fragile”. Il catalogo dell’inciviltà fu reso noto dallo stesso magistrato: “Gente che porta via pezzi di marna, graffiti di dubbio gusto, buchi nella scogliera, carotaggi non autorizzati. Un bene – proseguì Patronaggio – che abbia questo valore storico, paesaggistico, geologico deve essere restituito alla mano pubblica”.
In attesa dell’udienza civile che il prossimo 21 aprile potrebbe decidere la titolarità della scogliera, l’indagine penale, come dice l’Agi, ha fatto affiorare l’inerzia dell’amministrazione pubblica, che, secondo i periti del gip, “non ha messo in atto azioni volte all’acquisizione dei beni o alla dichiarazione di pubblica utilità che comunque appare necessaria per l’acquisizione al demanio dei beni culturali, storici e paesaggistici seppur in più occasioni e univocamente hanno ribadito la volontà di preservare il bene attraverso l’apposizione di una serie di vincoli”. In poche parole, se una delle tre particelle è riconducibile a Ferdinando Sciabarrà, ereditata dal padre, sulle altre due “non si riscontra un atto dirimente in merito alla proprietà”. Ma “appare evidente che Sciabarrà ne vanta il possesso da diversi decenni”.
La Regione non fa una grinza e ribadisce che l’area non è privata anche se, sottolinea Gianfranco Zanna, presidente regionale di Legambiente, la stessa Regione “non si è neanche costituita parte civile nel procedimento in corso al Tribunale civile. Noi, che riuscimmo a convincere il comune di Realmonte a impegnarsi nella contesa legale, lo abbiamo fatto. Riteniamo che il bene debba essere considerato pubblico uti cives”, ovvero pubblico perché punto di riferimento di un interesse collettivo.