La fuga da Musumeci potrebbe essere appena cominciata. Diventerà Bellissima, il partito del governatore nato per rivoluzionare la Sicilia, dopo tre anni e mezzo di legislatura ha il passo stanco e l’andatura ciondolante di chi si appresta a cedere lo scettro. Lo confermano alcuni fatti avvenuti nelle ultime settimane, a partire dalla decisione del movimento “Insieme”, nel Ragusano, di uscire allo scoperto e aderire alla Lega di Salvini. Il leader Giovanni Occhipinti ha usato tutte le delicatezze del caso, ma nel corso di un incontro con Musumeci gli ha ribadito che “la politica è prospettiva, crescita, guardare al futuro”. Si sono dati il gomito con stima immutata e fraterna ammirazione. Ma i dubbi sull’operato del presidente, e sulla sua reale capacità di coinvolgimento, restano.
Il dato è tratto: lo conferma la direzione di Diventerà Bellissima, che una decina di giorni fa, al termine di un ampio dibattito, si è imposta di cambiare passo, mandando in avanscoperta tre luogotenenti di Musumeci – il deputato Alessandro Aricò, il coordinatore Gino Ioppolo e il presidente dell’assemblea, Giuseppe Catania – per verificare quali occasioni offre il mercato. Cioè quale partito del centrodestra sia pronto ad accogliere le istanze autonomiste e regionaliste di DB, per sopperire a quella che somiglia sempre di più a una crisi dell’abbandono. “Abbiamo deciso di delegare un ristretto coordinamento politico formato dai vertici del movimento – è stato scritto in un comunicato – affinché, in tempi brevi, si definisca con un partito nazionale del centrodestra un accordo politico, un patto federativo che, mantenendo la autonomia regionale del movimento, permetta di avere maggiore voce sui tavoli romani e la condivisione delle battaglie care ai siciliani”
Diventerà Bellissima, però, non sta utilizzando la posizione di incontrastato dominio nelle istituzioni siciliane – basti pensare che oltre a Musumeci, esprime pure l’assessore regionale alla Sanità – e nel sottogoverno, per annettere nuovo tessuto sociale ed elettorale. Semmai, è vero il contrario: che in tanti, in queste ore, hanno deciso di accasarsi altrove. Del gruppo “Ora Sicilia”, nato all’Ars per fare da stampella a una maggioranza malconcia, non restano che i rantoli. Al netto di Luigi Genovese, rimasto nel gruppo misto, gli altri si sono comodamente accasati altrove: Luisa Lantieri e Daniela Ternullo (con il suo faro e predecessore in Assemblea, Pippo Gennuso) in Forza Italia, Totò Lentini fra gli autonomisti, che nel frattempo si sono federati con la Lega.
Mentre il fermento che s’era creato attorno al Nello’s party alla vigilia delle Regionali, progressivamente si è spento. Al netto di alcuni sindaci fedelissimi, fra cui quelli di Comiso e Caltagirone, feudi del governatore, Musumeci non riesce ad attrezzare come vorrebbe il suo movimento, che paga lo scotto di alcune occasioni perse. Come quella di misurarsi alle scorse elezioni Europee, quando, anziché stringere un accordo con una forza politica gemella (Fratelli d’Italia), preferì restare neutrale, assistendo allo spettacolo dalla tribuna. Un episodio che destò perplessità in molti degli “alleati naturali” del governatore che oggi come oggi, al netto del morboso corteggiamento nei confronti di Salvini, dice di guardare ai tre partiti del centrodestra con la medesima stima.
L’incapacità di differenziare la propria offerta rappresenta un limite. Anche se, per la verità, Ruggero Razza avrebbe già scelto la Lega. Specie da quando il suo “amico” Nino Minardo siede sulla poltrona di segretario regionale. Prima, con Candiani, era quasi impossibile trattare. L’ex sottosegretario agli Interni, infatti, non ha mai visto di buon occhio gli sbalzi umorali di Musumeci, che un giorno si dichiarava “promesso sposo” e quello dopo riferiva di non avere alcun leader, tanto meno Salvini. Che pure gli aveva teso una mano. “Il patto con Musumeci e gli autonomisti volevo chiuderlo prima delle Comunali, se non s’è fatto non è colpa mia – aveva detto Candiani in una celebre intervista a ‘La Sicilia’ – Dovrebbe essere nel suo interesse riflettere sulla proposta che gli è stata fatta, il 2022 è vicino. Io con lui sono sempre stato leale. Se poi quando io esco dalla sua stanza lui mi volta le spalle, sono fatti suoi”. L’accordo non s’è mai fatto perché parte della base non ha accettato di entrare supinamente nel Carroccio, e Musumeci, pur di non provocare scissioni, ha deciso di cristallizzare la decisione. Destando più di una perplessità negli alleati, che non hanno più concesso una seconda chance (e, anzi, sono i primi a pungere su questioni dirimenti come la manovra finanziaria o il piano vaccinale).
E’ andata male anche con Fratelli d’Italia, a cui il governatore – inopinatamente – diede la benedizione, definendolo un “partitino del 2-3%”. Era l’inizio del 2019 quando Raffaele Stancanelli, co-fondatore di Diventerà Bellissima ma eletto senatore con Fdi, presentò una mozione congressuale per proporre l’ipotesi di federarsi con la Meloni. Sarebbe stato il naturale proseguimento dell’esperienza missina. Invece non se ne fece nulla. Ma da quel momento la crescita della destra divenne inesorabile e Stancanelli, contro ogni pronostico, riuscì a ottenere persino l’elezione a Strasburgo da eurodeputato. Senza i voti dell’ex amico Nello. Nel rapporto fra i due partiti è venuta meno la trasparenza e, tra le forze del centrodestra, a oggi, FdI è la meno propensa a concedere a Musumeci un secondo assist per ambire a palazzo d’Orleans.
Il colonnello Nello, in questa esperienza alla Regione, si lascia alle spalle numerose scaramucce. Dagli alti e bassi coi centristi – il “popolare” Saverio Romano lo ha accusato più volte di non riunire i partiti della coalizione – agli interventi in gamba tesa, come l’ultima volta, ad Agrigento, quando al ballottaggio decise di scendere in campo per il candidato autonomista Franco Miccichè, dopo aver già sostenuto Marco Zambuto, oggi assessore alla Regione, e aver dichiarato di non voler partecipare alla campagna elettorale per via del suo ruolo di “alto garante”. Non solo ha sconfessato se stesso, ma è anche sceso in campo contro Lillo Firetto, sostenuto da pezzi di centrodestra tra cui il “big” di Licata, Carmelo Pullara, che decise per tutta risposta di uscire dal Mpa e dalla maggioranza. Piccole scintille quotidiane che si sommano a un’azione di governo spenta e senza prospettiva. Su cui hanno sorvolato gli ex grillini di Attiva Sicilia – ma qui si tratta di operazioni di palazzo – che secondo il Giornale di Sicilia sarebbero ufficialmente entrati nelle grazie del governatore, prenotando un posto nelle sue liste per le prossime Regionali.
Per il resto, le idee balenate nella testa di Musumeci – come la chiusura di alcuni carrozzoni (Esa su tutti) o l’intestazione di alcune riforme apicali (rifiuti, edilizia, consorzi di bonifica) – sono state sepolte dall’avvento del Covid e da una condizione catastrofica dei conti della Regione che, per responsabilità annesse alle sue decisioni, hanno drenato, senza profitto alcuno per l’Isola, le ultime energie rimaste. La Sicilia immaginata tre anni e mezzo fa è rimasta sulla carta, ma potrebbe ri-palesarsi nei volantini della prossima campagna elettorale. Se solo Musumeci sapesse resistere al fuoco amico (leggasi Cateno De Luca) e cercarsi uno sponsor valido. Con l’iter parlamentare già piegato alle resistenze dello Stato e della Corte dei Conti, sarà difficile, se non impossibile, architettare un numero di riforme tali da meritarsi una riconferma sul campo. O davvero l’ipotesi di un centro direzionale, semmai lo vedremo, basterà a sfangarla?