A chi vanno i soldi degli affitti pagati ogni anno dalla Regione siciliana? E soprattutto, a quanto ammonta la cifra delle locazioni passive? Un mistero che l’ex dirigente generale dell’Energia, Tuccio D’Urso, ha svelato nel corso di un intervento a difesa del centro direzionale della Regione, il suo gioiellino, di cui era responsabile unico del procedimento fino a qualche mese fa, prima di andare in pensione. In uno dei suoi sfoghi – D’Urso non è uno da molti peli sulla lingua – ha rivelato che grazie alla realizzazione del pirellone siciliano (costerà quasi mezzo miliardo, ma manca il “via libera” del Consiglio comunale di Palermo), la Regione potrà risparmiare fino a 60 milioni l’anno, di cui buona parte (40) finiscono a un fondo immobiliare (il fondo Fiprs). E, più specificatamente, nelle tasche degli “anonimi possessori della maggioranza del fondo”, che sarebbero “protetti dall’anonimato azionario delle Isole Cayman, e in parte da ben noti proprietari immobiliari siciliani”.
La Regione, secondo un suo ex dirigente, pagherebbe una montagna di soldi ad alcune società con sede in paradisi fiscali. Sembra di averla già sentita questa storia, ma stavolta la questione del “censimento fantasma” e della password smarrita rimane in secondo piano. Al centro della questione irrompe, invece, il fondo Fiprs, lo stesso che nel 2007 entrò nell’operazione di “svendita” di 33 immobili regionali da parte del governo Cuffaro, di cui la Regione tornerà inquilina qualche anno dopo, riaffittandoli a cifre mostruose (all’epoca, si parlava di circa 20 milioni l’anno). Oggi il fondo Fiprs appartiene al gruppo Prelios sgr (che gestisce quasi 6 miliardi di patrimonio immobiliare). Le quote del fondo sono per il 35% di proprietà della Regione siciliana, mentre il restante 65% è equamente suddiviso fra Trinacria Capital Sarl e Sicily Investments, due sigle che hanno chiaramente a che fare con la Sicilia. Due società con sede fiscale in Lussemburgo e controllate, in entrambi i casi, per il 49% da Focus Investments (altra compagnia del gruppo Prelios) e per il restante 51% dalla cordata che riunisce Unicredit, Banca Intesa e Natixis, una banca d’affari francesi.
Un sistema di scatole cinesi in salsa lussemburghese, che, istintivamente, fa scattare il collegamento con le Isole Cayman, tirate in ballo da Tuccio D’Urso. A cui non mancheranno gli argomenti. Dovrà illustrarli, mercoledì pomeriggio, alla commissione regionale Antimafia presieduta da Claudio Fava, che su input della deputata di Forza Italia, Marianna Caronia, lo ha convocato per approfondire il tema. Non si può certo dire che D’Urso sia un millantatore qualunque. Attualmente ricopre l’incarico di soggetto attuatore per l’emergenza Covid: gestisce per Musumeci un enorme tesoretto da 128 milioni (sono soldi stanziati dallo Stato) per la riconversione e riqualificazione degli ospedali siciliani. E fino a dicembre era il capo del dipartimento all’Energia, meglio conosciuto come dirigente anti-fannulloni. Un profilo apprezzatissimo dal governatore, tanto da essere diventato il responsabile unico del procedimento per la realizzazione del nuovo centro direzionale della Regione siciliana (la gara internazionale per la progettazione si concluderà nei prossimi giorni), che vale 425 milioni.
Le sue parole vanno pesate, verificate, lucidate in trasparenza. Per capire, effettivamente, come stanno le cose. E se la Regione affidi i quattrini dei siciliani a società “mascherate”, e soprattutto a quanto ammontino queste spese, dato che siamo in un periodo di vacche magre e che l’ultimo accordo con lo Stato, del 14 gennaio, imponga una riduzione degli sprechi e, soprattutto, una “riduzione di spesa per le locazioni passive della Regione e degli enti e società ricompresi nel GAP (gruppo amministrazione pubblica)”. Sessanta milioni in affitti sono bei soldini. Soprattutto alla luce delle ultime stime, risalenti al 2019, quando l’assessore all’Economia Gaetano Armao, rispondendo a un’interrogazione di Nuccio Di Paola (M5s) avente ad oggetto “razionalizzazione dell’utilizzo delle locazioni passive e contenimento della spesa per fitti passivi”, spiegava che “il dato relativo all’ammontare dell’importo di locazione reso dalla Regione siciliana” risulta di 39,9 milioni annui, di cui 24,3 è la “cifra corrisposta al Fondo Immobiliare Pubblico Regione Siciliana”. Guarda caso, l’acronimo di Fiprs.
Le cose sono due, al netto dello scandalo delle Cayman: o D’Urso s’è sbagliato, arrotondando la cifra per eccesso di una ventina di milioni; o in questi due anni e mezzo che ci separano da quell’interrogazione (agosto 2018), il costo degli affitti è cresciuto a tal punto da meritare una riflessione seria sulle spese pazze della Regione. Ci sono 16 milioni di gap tra i soldi che l’ingegnere “assegna” al fondo immobiliare, e quelli certificati dall’assessorato all’Economia e dal dipartimento Finanze che – immaginiamo – furono comunicati a Di Paola dopo un’attenta ricognizione (passarono poco più di tre mesi per fornire una risposta all’interrogazione del deputato).
C’è un altro elemento che merita di essere citato. Nel dicembre 2019, due giorni dopo Natale, la Regione, attraverso una delibera di giunta, comunicò la decisione di cedere il 35% del fondo Fiprs di cui era proprietaria al Fondo Pensioni, controllato dalla Regione medesima, dando così attuazione a una norma del governo Crocetta rimasta sulla carta dal 2017. Una mossa utile, da un lato, a fare cassa (il Fondo Pensioni avrebbe pagato un acconto da 22,75 milioni, previsti dalla norma in questione); dall’altro, a scaricare una parte del patrimonio sul conto di pensionati presenti e futuri (è a questo che serve il Fondo Pensioni: a staccare gli assegni di quiescenza agli ex dipendenti regionali). Una manovra contestata dai sindacati e dalla Corte dei Conti – la stima del valore del 35% del fondo sarebbe toccata a una commissione trilaterale, composta da tecnici – di cui per tutto il 2020 però non si ha più traccia. Incroci pericolosi che non fanno altro che aumentare i dubbi sulle operazioni immobiliari di Palazzo d’Orleans, e a cui Musumeci non si è mai interessato granché.
Adesso che anche una deputata della sua maggioranza, Marianna Caronia, gli ha chiesto di riferire in Assemblea, e che Fava ha riaperto il caso in commissione Antimafia, potrà il governatore “con la schiena dritta” esitare? No, di certo. Qualche tempo fa lo stesso Armao era stato audito da Fava per rivelare i segreti del “censimento fantasma”, che proprio nell’ambito di quella svendita dei 33 immobili al fondo Fiprs, la Regione aveva commissionato a Sicilia Patrimonio Immobiliare per mappare tutti gli edifici di proprietà dell’ente e che, fattura dopo fattura, costò 80 milioni (e a causa di un contenzioso crebbe fino a sforare i 110). La Spi era una società pubblico-privata, partecipata al 75% della Regione, ma di cui divenne amministratore delegato Ezio Bigotti, un avventuriero di Pinerolo, in rappresentanza del consorzio privato – un’associazione temporanea d’imprese – che partecipava all’affare. Anche le società di Bigotti avevano sede nei paradisi offshore del Lussemburgo. Ecco perché il racconto di D’Urso ci sorprende, ma fino un certo punto. Con tutti i soldi buttati via negli ultimi vent’anni, il centro direzionale sarebbe già pagato.
Di Paola (M5s): serve un’operazione verità all’Ars
“Sono 40 o 60 i milioni che la Regione scuce annualmente per gli affitti dei propri uffici? Le cifre non ci tornano, è indispensabile un’operazione verità in commissione Bilancio dell’Ars”. Lo afferma il deputato del M5S all’Ars, Nuccio Di Paola, dopo le dichiarazioni veicolate da alcuni organi di stampa dell’ex direttore regionale Tuccio D’Urso, oggi coordinatore della struttura tecnica regionale per l’emergenza Covid. “D’Urso parla di 60 milioni di euro l’anno pagati in totale per gli affitti dalla Regione, di cui 40 milioni pagati al fondo Fiprs, il fondo immobiliare pubblico della Regione siciliana. Ebbene, questi dati sono nettamente diversi da quelli che a gennaio del 2019 ci fornì, in seguito ad una nostra interrogazione parlamentare, il dipartimento regionale Finanza e credito che, per gli affitti, mise nero su bianco la cifra di 40 milioni di spese totali, di cui 24 destinati al Fiprs”. “Le cifre – continua Di Paola – sono totalmente diverse, e vorremmo capire il perché. Sono errate le cifre forniteci dal dipartimento o quelle riportate da D’Urso? O, ancora peggio, le spese negli ultimi due anni sono lievitate paurosamente? Tutte e tre le ipotesi ci sembrano abbastanza gravi: è doveroso fare chiarezza agli occhi dei siciliani, considerato che si parla di soldi dei contribuenti”.