Quella che aveva Paolo Isotta – scomparso oggi a 70 anni nella sua Napoli – era “La virtù dell’elefante”, citando l’omonimo libro pubblicato da Marsilio in cui faceva una summa della sua esperienza umana prima che artistica, mescolando il genere narrativo con quello saggistico senza però mai seguire un percorso cronologico. La sua era una mente robusta capace di sopportare una mole di sapienza e il suo era un vivere in continua simbiosi con la musica di cui parlò anche in quel testo ricordando tante altre esperienze e conoscenze in ambito musicale, poetico, giornalistico e letterario. Il suo era uno spirito libero e libertario, era iscritto al partito radicale e all’associazione Coscioni e quando scriveva o parlava aggiungeva alla sua grande cultura uno humour sferzante. “Isotta è senza alcun dubbio il capitolo più clamoroso della vita culturale di questa Italia”, ha scritto e ribadisce a voce all’HuffPost Pietrangelo Buttafuoco.

“Ci siamo incontrati per la prima volta negli anni Ottanta durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto, era uscito da poco ‘Il ventriloquo di Dio’, dedicato a Thomas Mann e alla musica nell’opera letteraria”, ricorda lo scrittore e giornalista catanese. “Quel giorno ci siamo conosciuti e riconosciuti e da allora abbiamo iniziato a parlare di un orizzonte comune, una comunione di intenti e di vedute che è durata per tutti questi anni, arricchendosi giorno dopo giorno, sempre di più”. “La sua era una prosa raffinata e la sua fedeltà al dialetto napoletano colto ne hanno fatto uno dei maggiori scrittori d’arte tra i due secoli oltre che grande voce della critica musicale e della musicologia”.

Paolo Isotta

Controverso e tranchant, Isotta divideva per le sue idee e prese di posizione e sono stati in molti a definirlo “anticonformista”, ma non Buttafuoco. “Non era solo uno storico della musica, un professore e uno scrittore, ma più di ogni cosa era un grande artista”, ci spiega. “L’arte ce l’aveva addosso, nel sangue, gliela vedevi sempre nello sguardo, nel suo punto di vista. Era la personificazione del dolore nella sua totale cognizione”. “Era una persona speciale che stimavo molto, l’ultima volta ci siamo sentiti pochi giorni fa a telefono”, continua Buttafuoco. Non c’era spazio per lui a ‘Che Tempo che Fa’ come nel catalogo Adelphi, ma in quello di Marsilio che presto (il 4 marzo, ndr) pubblicherà il suo ultimo libro, ‘San Totò’, di cui era un grande esperto ed ammiratore”. “Isotta poteva essere descritto e capito da uno come Pirandello, la lettura più straziante e dolorosa. In lui c’era un attraversamento dell’esistenza senza il minimo appiglio all’illusione. La mia rabbia – conclude – è che l’Italia e la sua cultura ipocrita e incipriata non siano state in grado di capire e di nutrirsi di uno come lui, non riuscivano e sapevano sopportarlo. Se l’Italia fosse stata consapevole della propria Storia, si sarebbe precipitata a offrirgli il titolo di Senatore a Vita, a lui come a Carmelo Bene, ma da noi purtroppo l’arte viene vista come un qualcosa che si ha e si fa come esercizio del passatempo o diletto, come gioco di società. Loro erano oltre”. (dall’Huffington Post)