Il Ministero dell’Ambiente, ad aprile 2019, l’aveva definito “incongruente” e persino “sgrammaticato”. Il Cga, che ha sospeso il parere di legittimità richiesto dal governo regionale – esternando, però, tutte le proprie perplessità – ha parlato invece di “vischiosità normativa”. Il piano rifiuti della Regione siciliana, il cui iter di approvazione risale, ormai, alla notte dei tempi, fa un passo avanti e due indietro. A dicembre aveva ricevuto il via libera da parte della commissione Via-Vas, presieduta dal super consulente di Musumeci, Aurelio Angelini (che sta pure a capo della task force contro il deposito delle scorie radioattive). Oggi, invece, viene stoppato dai giudici. Così lo strumento che tutti, compresi i partiti d’opposizione, giudicano dirimente per superare la fase emergenziale, riorganizzare l’impiantistica e precludere (o limitare) il business dei privati, resta al palo. Perché, secondo il Consiglio di giustizia amministrativa, “risulta oltremodo difficile (e comunque difficoltoso) ‘scorgere’ (e ‘trovare’) le norme effettivamente prescrittive e discernere le parti prescrittive da quelle puramente descrittive, esortative o indicative di semplici direttive o di intenzioni. Con conseguente incertezza in ordine alla concreta natura ed efficacia del Piano; ed alla concreta applicabilità e cogenza delle sue ‘determinazioni’, il che può determinare conseguenze nefaste in fase applicativa”.

Una serie di dettami tecnici per dire che il piano, così com’è, non va bene. Eppure la Regione ha sempre fatto trapelare ottimismo: il primo dicembre, dopo l’ok della commissione Via-Vas, il presidente Musumeci emetteva un comunicato per rivolgere “un plauso all’assessore Alberto Pierobon, ai dirigenti generali del dipartimento che si sono succeduti e a tutto il personale che si è speso per arrivare a questo storico traguardo”, cioè uno strumento che “dopo oltre 20 anni (…) recepisce, primo in Italia, le quattro direttive europee in materia di rifiuti: prevenzione, riuso, recupero di materia e di energia, smaltimento”. Applausi a scena aperta anche da parte di Pierobon: “Si chiude l’era delle discariche – diceva il responsabile regionale dei Rifiuti – che resteranno marginali nelle future scelte dei territori. Ogni ambito provinciale dovrà essere autosufficiente nell’impiantistica scegliendo la tecnologia necessaria a chiudere il ciclo. Priorità in sede di valutazione avranno gli impianti pubblici, in un’ottica di riequilibrio con il settore privato”.

Ecco. Saranno i territori a scegliere come – effettivamente – chiudere il ciclo. Un escamotage, secondo l’avvocato Giampiero Trizzino, deputato regionale del M5s, facilitatore nazionale per l’ambiente e ottimo amico del Ministro Costa: “Il Codice dell’Ambiente – obiettava in un’intervista a Buttanissima – prevede che siano le Regioni a stabilire la tipologia e il complesso degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani. Bisogna dire, in modo chiaro, quali impianti realizzare e in quali ambiti territoriali allocarli, tenuto conto del reale fabbisogno”. Questa “libertà di scelta”, invece, sarebbe stata un’occasione da cogliere secondo il governo, che forniva una sorta di vademecum per la predisposizione degli impianti: “In particolare, nel pieno rispetto della gerarchia europea dei rifiuti, le politiche di gestione mireranno alla riduzione della produzione tramite attività di prevenzione, alla preparazione per il riutilizzo, al riciclaggio, al recupero di energia tramite moderni impianti di termoutilizzatore e, solo marginalmente e in ultima istanza, allo smaltimento in discarica”.

E’ sul fil rouge dell’incertezza e dei tecnicismi – sul “discernere le parti prescrittive da quelle puramente descrittive, esortative o indicative di semplici direttive o di intenzioni” – che si incarta il Cga. Anche se da palazzo d’Orleans non la reputano una bocciatura vera e propria. Parlano, infatti, di “piano regionale dei rifiuti al traguardo”. Asseriscono che i contenuti non si toccano. A fare luce ci pensa Pierobon: “In Sicilia è previsto un ulteriore passaggio al Cga, che deve esprimere un parere sul decreto di adozione del piano, non quindi sul piano. Ebbene, il Consiglio di giustizia amministrativa ha sospeso questo parere e ha chiesto di evidenziare nel decreto alcune prescrizioni inserite nel piano, cioè di richiamare alcuni passaggi che, ripeto, già sono presenti. È una richiesta che abbiamo subito accolto. Purtroppo la verità è un’altra. Avvoltoi e speculatori, che in questi anni si sono arricchiti sulle spalle dei siciliani, non vedono l’ora di sfruttare ogni occasione per affossare il processo di riforma. Non avranno questa possibilità. Risponderemo velocemente a quanto richiesto e andremo avanti per dare alla Sicilia ciò che aspetta da decenni”. Le opposizioni si mettono, comunque, di traverso: il Partito Democratico chiede che il piano venga riscritto e torni “non solo in commissione parlamentare ma anche nelle apposite commissioni chiamate per legge ad esprimere i pareri di competenza e dove auspichiamo che la ‘discrezionalità tecnica’ sia esercitata con parsimonia ed a tutela dell’interesse pubblico”.

Nel frattempo la giostra della monnezza è andata avanti. Si è alimentata di parole, eventi emergenziali (come la crisi sfiorata a Palermo prima delle festività natalizie), toppe improvvisate (come il via libera alla copertura della sesta vasca di Bellolampo: e la settima?), costi esorbitanti (come quello affrontati da Rap per conferire fuori da Palermo), dubbi amletici (termovalorizzatori sì o no?) e pochissimi fatti. Sono rimasti tutti ad ammirare il Cga con il naso all’insù, sperando nell’ultima benedizione. I giudici hanno invitato “l’assessore richiedente a ripresentare nel più breve tempo possibile e, comunque, non oltre 30 giorni dalla comunicazione del presente parere un nuovo testo del provvedimento conformato ai superiori rilievi”, e spiegato che poi passeranno altri venti giorni “per l’espressione del parere in via definitiva”. Che sarà vincolante ai fini richiesti: cioè l’applicazione delle direttive in tutta la Sicilia. Dove, nel frattempo, gli impianti non bastano più; la raccolta differenziata, nei grandi centri, è un fallimento assodato; e poche discariche alimentano il business. Chi ci guadagna sono i “ras della monnezza”: i Catanzaro, i Proto, i Leonardi, che negli ultimi mesi, però, sono stati spazzati via da un’inchiesta giudiziaria a carico della Sicula Trasporti, la società che gestisce l’impianto di contrada Grotte, in territorio di Lentini.

Una discarica a cui, nel 2018, è stata concessa un’autorizzazione per l’ampliamento di 1,8 milioni di metri cubi. Una cosa più o meno simile è accaduta con la proroga decennale della concessione alla discarica di Motta Sant’Anastasia, senza attendere l’esito delle motivazioni che avevano portato all’arresto per corruzione dell’ex presidente della Oikos, Mimmo Proto, e di un funzionario della Regione, con cui era entrato in strani rapporti d’affari. Vicende su cui si era incaponito il presidente dell’Antimafia, Claudio Fava. Ha messo su un’inchiesta, consegnata agli atti dell’assemblea nello scorso giugno, da cui “emerge una governance troppo spesso ostaggio di un gruppo di imprenditori che hanno rallentato, anche per responsabilità di una politica compiacente, ogni progetto di riforma che puntasse a un’impiantistica pubblica”. L’esito è stato quello d’aver conservato la centralità del conferimento in discarica come punto d’arrivo obbligato dell’intero ciclo, garantendo ai pochi proprietari privati altissimi margini di profitto. “Le responsabilità dei governi e dell’amministrazione regionale sono gravi”, ha aggiunto Fava. “Abbiamo ascoltato presidenti, assessori che per vent’anni, con pochissime eccezioni, hanno di fatto abdicato alla loro funzione di indirizzo politico, rendendosi invece disponibili ad un sistema di interferenze e di sollecitazioni che ricordano le vicende legate al sistema Montante”.

Nelle conclusioni, la relazione esprime un’urgenza: “Rendere la gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia una risorsa produttiva ed economica ed al tempo stesso un’occasione di dignità civile collettiva”, ribadendo che per farlo è necessaria “una risposta delle istituzioni e della politica rapida, alta e ferma alle pratiche corruttive, al prevalere degli interessi privati, a certe inerzie della funzione amministrativa”. Una risposta che non è mai venuta, secondo Fava, dal governo Musumeci. Ed è proprio col governatore (“Evoca, senza mai nominarli, i signori delle discariche”, aveva spiegato il presidente dell’Antimafia in un’intervista a Buttanissima), che si è consumato uno strappo totale. “Immaginare di potersela prendere sempre con l’eredità che Musumeci ha trovato, è un modo pavido e furbo per non affrontare il tema dei rifiuti – ha dichiarato in seguito -. Un tema sul quale ci sono in campo interessi pesanti, centinaia di milioni di euro che vanno ad allegrare le casse di poche e grandi imprese siciliane che gestiscono in regime di monopolio, da decenni, questo ciclo. Su questo avrei voluto sentire Musumeci in aula, non le sue recriminazioni sul voto segreto! Dopo due anni di governo non può continuare a presentarsi in aula a mani vuote”.

Parole pronunciate da Fava all’indomani della disputa di Sala d’Ercole sul Ddl rifiuti. Un’altra proposta di legge ferma da oltre un anno. Che tratta di governance, e non di impianti, ma sulla quale il governo di centrodestra aveva deciso di investire molto. E invece, lo stop (in)atteso, quando a novembre 2019 alcuni franchi tiratori affossarono l’articolo 1. Una clamorosa manovra, con la complicità del voto segreto, che innescò una crisi all’interno della maggioranza, e la decisione di Musumeci di non presentarsi più in aula fin quando la parte del regolamento relativa al “voto segreto” non sarebbe stata abrogata. Se davvero le promesse valessero qualcosa, oggi Musumeci non avrebbe più dovuto presentarsi in aula. Ma l’unica cosa che non ha rimesso piede a palazzo dei Normanni, se non per qualche rapido passaggio in Commissione Territorio e Ambiente, è proprio quella legge: che in sostanza riorganizza le autorità d’ambito, cercando di rimuovere le incrostazioni di Ato e Srr. Senza però incidere sul resto. Senza spazzare via, qualora un domani venisse approvata, tutti i dubbi e le reticenze che hanno reso i rifiuti un’autentica maledizione. E la Sicilia un’enorme discarica a cielo aperto.