Sono trascorsi 388 giorni, più di un anno, da quando il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, e il suo vice, Gaetano Armao, uscirono rincuorati da palazzo Chigi, a Roma. Non per l’approssimarsi del Natale, ancora libero dalle catene del lockdown; bensì per il generoso omaggio del Consiglio dei Ministri, che, in seguito alla quantificazione del disavanzo da parte della Corte dei Conti (oltre un miliardo a valere sul rendiconto 2018), acconsentì – nonostante le resistenze di pezzi di maggioranza, fra cui Italia Viva – a una spalmatura del deficit in dieci anni anziché in tre. Con un notevole vantaggio per la Sicilia: garantire la spesa ed evitare tagli drastici. Conte e i ministri, però, fissarono dei paletti: l’accordo, contenuto nel decreto legislativo n.158, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 27 dicembre, sarebbe stato valido a patto che la Regione, entro i 90 giorni successivi, avesse garantito un pacchetto di riforme economiche legate, tutt’al più, alla razionalizzazione della spesa e al contenimento degli sprechi (dalle partecipate in giù, per intenderci). Do ut des.
Sembra incredibile. Ma soltanto un paio di sere fa, il 12 gennaio 2021, la Regione ha approvato una “bozza di accordo finanziario” da sottoporre all’attenzione di Roma, con l’obiettivo di sbloccare la stasi, ottenere la rateizzazione del disavanzo ed evitare tagli drastici (la prima stima si aggira sugli 800 milioni). Musumeci si è anche compiaciuto: “Si tratta di una intesa articolata e radicale che pone riparo a decenni di allegra gestione delle finanze regionali. Ne paghiamo adesso le conseguenze ma, finalmente, mettiamo in ordine i conti della Regione”. Ora, però, tutti pendono dalle labbra del premier Conte e del ministro Gualtieri, che hanno rinviato l’appuntamento un paio di volte a dicembre (l’ultima, il 30) , ma questa sera il Consiglio dei Ministri ratificherà il “via libera” all’accordo.
Al momento, però, la Regione è imbalsamata. Moribonda. Le uniche spese consentite dalla “gestione provvisoria” sono quelle obbligatorie per legge. Tutti gli altri – fornitori, lavoratori, dipendenti – restano a guardare in attesa che avvenga il “miracolo”. Perché di “miracolo” si tratta. Il tempismo di Musumeci e Armao, di certo, non ha agevolato le trattative. La Regione avrebbe dovuto presentare un piano di riforme entro marzo 2020, termine poi slittato a fine giugno, ma non l’ha fatto. E la scusa della pandemia, dall’estate in poi, non regge. Qualche settimana fa era stato il Ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, a denunciare i fatti: “In tutti questi mesi – aveva detto – abbiamo non solo offerto collaborazione, ma anche sostenuto la Regione siciliana. L’impegno era mettere in campo riforme che rendessero sostenibile il percorso di risanamento. Tutto questo non c’è stato e questo è l’elemento di rammarico”. Altro che leale collaborazione istituzionale… La Regione, come spesso le accade, si è ridotta all’ultimo giorno utile.
Così ristagna anche l’attesa. E persino l’Assemblea non sa più che fare. I lavori di Sala d’Ercole sono slittati dal 5 al 12 gennaio, poi al 14, e infine a lunedì prossimo, quando si conta di incardinare finalmente il disegno di legge. Una manovrina dal valore di 350 milioni, per superare indenni gennaio e febbraio in attesa del nuovo Bilancio. Che la giunta, va da sé, non ha ancora approvato. E qui si staglia un’altra attesa: meno frenetica, non meno grave, ma dalle responsabilità condivise: per lavorare al nuovo Bilancio di previsione 2021-23, e in subordine alla Finanziaria 2021, bisogna attendere l’udienza di parifica della Corte dei Conti, che quest’anno viaggia in ritardo a causa del Covid e dei rilievi mossi dai magistrati contabili (e accolti dalla Ragioneria generale). Dall’analisi del rendiconto 2019 (la stessa che poco più di un anno fa determinò la crisi di adesso) dipenderanno le sorti della Sicilia nel prossimo triennio. Ma anche la durata dell’esercizio provvisorio, la Legge di Stabilità (Musumeci ne ha promesso una “sobria e snella”, niente a che vedere con l’ultima “manovra di guerra”) e la progettazione dei futuri investimenti.
“Chiediamo che il governo venga a riferire in aula in merito agli impegni che la Regione vorrà inserire nello schema di accordo Stato-Regione – ha chiesto il Movimento 5 Stelle – Comunque vada questa vicenda rappresenta un fallimento per il governo regionale. L’eventuale ok al ripianamento ci metterebbe al riparo dal disastro totale, ma per il governo Musumeci non sarebbe comunque il caso di gonfiarsi il petto: la spalmatura assomiglia tanto ad un piano di riequilibrio per i Comuni in dissesto”. Mentre dal Pd denunciano un “immobilismo inaccettabile” da parte del presidente della Regione e dell’assessore all’Economia. I quali, invece, saluteranno – si accettano scommesse – questo traguardo come l’ennesima operazione verità sui conti della Regione. Operazione che nessun’altro ha mai compiuto.
La cura dimagrante è notevole. Prevede la riduzione dei vitalizi dei deputati regionale e dei trasferimenti all’Ars, delle misure di razionalizzazione delle partecipazioni societarie, la chiusura delle liquidazioni delle società partecipate, l’incremento del lavoro agile e la riduzione del trattamento accessorio del personale (anche dirigenziale), la riorganizzazione della struttura amministrativa, la riforma dei consorzi di bonifica, la riduzione di spesa per locazioni passive, ma anche una netta semplificazione amministrativa. Tredici punti (in totale) di cui la Regione non si è mai voluta occupare, forse per eccessiva ingordigia. Il risparmio andrà dai 40 milioni previsti per il 2021 ai 300 del 2029 (totale: 1 miliardo 740 milioni, cioè il deficit contestato un anno fa dalla Corte dei Conti). Ma ancora ci si stenta a credere.
Tagli al personale: “no” dei sindacati
“L’accordo tra la Regione Siciliana e lo Stato sul ripiano decennale del disavanzo prevede tagli milionari in molti settori, ma la musica è sempre la stessa: a pagare il conto, come sempre, saranno i lavoratori. I tagli lineari decisi dal Governo Musumeci e adottati senza alcun confronto con i sindacati comporteranno una riduzione del 20% delle risorse destinate al salario accessorio del personale regionale, pari a 10 milioni di euro: non si capisce davvero come faranno a migliorare i servizi, visto che a breve non sarà possibile nemmeno garantire quelli essenziali”. Lo dicono Giuseppe Badagliacca e Angelo Lo Curto del Siad-Csa-Cisal. “Quando il Governo Musumeci deciderà finalmente di affrontare in modo serio il tema del rilancio di una Pubblica amministrazione regionale ormai arrugginita, saremo ben felici di avanzare le nostre proposte – dicono Badagliacca e Lo Curto – Una riforma che comprenda anche il riordino e la riclassificazione del personale non è più rinviabile e ci auguriamo che il neo assessore Marco Zambuto se ne renda conto al più presto”.