Venerdì 8 gennaio ricorre il centesimo anniversario della nascita di Leonardo Sciascia. Un maestro elementare e di vita, uno scrittore sublime che ha donato alla sua Racalmuto, in provincia di Agrigento, un pezzo di celebrità letteraria. E alla Sicilia il piacere e il prestigio di annoverarlo come uno dei suoi figli migliori. La fondazione che porta il suo nome lo celebra con una serie di iniziative, tra cui una tavola rotonda che vedrà coinvolti alcuni degli studiosi che più assiduamente si sono occupati dell’opera di un intellettuale mai schierato con il potere, e l’inaugurazione di un monumento commemorativo realizzato da Francesco Puma. Inoltre, alla mostra allestita e inaugurata lo scorso settembre, che raccoglie numerosi scatti inediti di Sciascia, ne seguirà un’altra, prestigiosa, con le foto di scena realizzate da Enrico Appetito sul set del film ‘Il giorno della civetta’. Una sorta di esposizione itinerante, con foto e gigantografie distribuite su tutto il territorio di Racalmuto. Fra gli spettatori interessati c’è senz’altro la figlia Annamaria: “Quel numero – cento – fa un po’ impressione, ma dà anche la misura del mio tempo. Ho ricordi legati a 50 o 60 anni fa che non sembrano poi così lontani. Per me l’8 gennaio sarà un giorno come gli altri. Non ho mai smesso di pensare a mio padre”.
Qual è il ricordo più bello che la lega a lui?
“Ce ne sono tanti. Mio padre è sempre stato grande. Capisco che può suonare come la frase pronunciata da una figlia che ammira il papà, ma era veramente un uomo speciale. A lui mi legano tanti ricordi, tanti regali fatti in una maniera che definire “informale” è poco”.
Ce ne dica uno.
“Quando si è laureata mia sorella, ricevette in regalo una collana di perle. Per me sarebbe stato lo stesso. Ma in occasione della mia laurea papà non aveva molti soldi, stava costruendo la casa di campagna. Trascorsero un po’ di anni, quando un giorno, per il compleanno di mio figlio Fabrizio, si avvicinò a me, mise la mano in tasca e tirò fuori una scatola: c’era dentro la collana. Non me l’aspettavo, credevo fosse andata in prescrizione…”.
Nonostante l’attività da letterato e il suo impegno civico, riusciva ad essere un padre presente?
“Presentissimo. In realtà, nonostante il suo lavoro, aveva sempre tempo per cucinare, fare la spesa, rispondere alle mie domande. La scrittura non lo impegnava così tanto, e ancora oggi non capisco come sia possibile. Era un uomo completo, oggi diremmo multitasking”.
Ci sono aspetti della vita di suo padre che l’opinione pubblica disconosce?
“Non credo. E’ facile conoscerlo attraverso i suoi libri. I personaggi positivi non si discostano troppo dalla realtà”.
Qual è il romanzo che preferisce?
“’Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D.’. E’ un libro pieno di cristianesimo. Ecco, forse questo è uno degli aspetti che a qualcuno può essere sfuggito: il fatto che mio papà fosse molto cristiano nell’anima e nel modo di fare. Faceva spesso del bene, ma non aveva interesse a rivelarlo”.
Qual è la dimensione più autentica di Leonardo Sciascia: maestro elementare, grande della letteratura o attivista politico?
“Tutte e tre insieme. E’ sempre stato un uomo razionale, pacato, dove la ragione e il cuore convivono molto bene e si completano. Sono stata fortunata ad averlo incontrato”.
L’impegno civico e la critica serrata, da uomo non-di-potere, gli costarono qualche attacco da parte di ambienti legati alla magistratura, alla politica e alla cultura. Se ne curava oppure no?
“Era uno scrittore civile, se ne curava eccome. Se il suo racconto della verità provocava delle reazioni negative, ne soffriva, anche se non ne parlava apertamente. L’amicizia con Renato Guttuso si è rotta improvvisamente a proposito di Berlinguer (Sciascia aveva svelato un colloquio con l’ex leader del Pci, venendo smentito dall’amico, ndr) e l’ha fatto soffrire tantissimo. Papà gli ha voluto bene fino alla fine, e ha pianto quando è morto. Era incapace di odiare. Quando ha introdotto il convegno di Buttitta sull’amicizia, a Palermo, ha spiegato che se aveva delle cose da farsi perdonare, erano state fatte senz’altro per n sentimento d’amicizia. Era molto legato agli amici e all’umanità tutta”.
Sciascia fu tra i primi a sollevare il tema dei “professionisti dell’antimafia”. Fu il primo ad attirare su di sé qualche polemica per aver toccato un tema che oggi è attualissimo.
“E stato attaccato moltissimo per aver detto qualcosa che, allora, non si poteva dire. E che oggi alcuni episodi, penso al caso Montante, hanno rivelato in maniera evidente. Viviamo in un’epoca in cui tanti si piegano a dire certe cose senza convinzione, senza pensiero critico, ma solo perché fa comodo. E professarsi esponenti dell’antimafia può fare molto comodo”.
Suo padre è stato molto sensibile sul tema della giustizia, tanto che il Partito Radicale lo difese a spada tratta e lo fece eleggere in parlamento.
“Infatti disse a Pannella: ‘Tu hai bussato perché sapevi che la porta era aperta’”.
Qual era il rapporto di Leonardo Sciascia con la Sicilia?
“L’amava, ma si dispiaceva perché le cose non cambiavano. E anche oggi, a distanza di 31 anni dalla sua morte, non è che siano cambiate granché. Forse sono peggiorate. Avrebbe un giudizio negativo, come tutti. E’ impensabile che un ragazzo valido debba emigrare per lavoro, che comandino sempre le stesse persone e vadano avanti solo gli amici degli amici. Nel 2020 queste cose non dovrebbero esistere. Abbiamo un’Isola meravigliosa, un clima fantastico, bellezze artistiche e naturali innegabili, ma i nostri figli devono emigrare per realizzarsi. E inoltre, ha visto il degrado di Palermo? Quando in tv vedo un’immagine di Vienna o di altre capitali europee, sembra di stare in un altro mondo. Le mie nipotine sono metà italiane e metà polacche. La scuola in Polonia funziona meglio che da noi”.
Secondo lei, suo padre meriterebbe di essere studiato un po’ di più?
“A Racalmuto la Fondazione organizza ogni anno un convegno con le scuole. Forse bisognerebbe estenderlo anche altrove. Credo che quella di mio padre sia una letteratura educativa. Quest’anno i ragazzi del convegno hanno esaminato il libro “Candido”, dove ci sono tanti passaggi che si soffermano sulla libertà di pensiero. Credo sia un insegnamento molto importante da apprendere. Ne “Le parrocchie di Regalpetra” parla della “carta buona”, della scrittura: se non si studia, è facile tornare indietro ed essere assorbiti da un vuoto tremendo. Ecco, credo che Leonardo Sciascia debba essere utilizzato un po’ di più come maestro di scuola, di vita, di comportamenti. Alle mie nipotine ho cominciato a leggere qualche pagina delle sue opere”.