“Cimino si difende cercando di scaricare le sue eventuali responsabilità sugli altri; è una scelta difensiva legittima, per quanto non condivisibile”. Lo scrivono in una nota gli avvocati della famiglia Savona, Salvatore Traina, Giada Traina e Manuela Gargano, a proposito dell’ex collaboratore di Savona, Michele Cimino, che aveva raccontato ai pubblici ministeri che “qualora mi fossi ribellato o rifiutato di fare quello che mi veniva chiesto sarei stato licenziato e non ho mai avuto il coraggio di chiedere informazioni su questo progetto”. Il progetto di cui parla Cimino si chiamava “Barocco” e ha fruttato 226 mila euro. Anche per Cimino, come per il deputato regionale di Forza Italia e altre quattro persone (fra cui la moglie) la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito di un’inchiesta sulla Formazione professionale.

Cimino aveva spiegato che “non ho mai avuto il coraggio di chiedere informazioni su questo progetto, anche quando mi presentano dei documenti da firmare di fatto non mi veniva data materialmente la possibilità di leggerli. Mi sono reso conto che moltissimi documenti non sono stati firmati da me, non so chi materialmente le abbia firmati ma sicuramente non io. Alcune lettere di incarico ad enti esterni per il progetto barocco riporta una firma che non è mia”.

“Cimino era Presidente della Società RISES, non era un impiegato, che potesse temere il licenziamento – spiegano gli avvocati dei Savona -. E’ da dire che l’On. Savona e la moglie si sono liberamente – e ben volentieri – sottoposti a perizia calligrafica innanzi all’esperto nominato dalla Procura, e nessuna delle firme del Cimino è risultata in alcun modo a loro riconducibile”. Ed ancora: “La Difesa dell’On. Savona, in questi anni, ha lavorato scrupolosamente e nel silenzio, e sarà ben lieta di offrire al Giudice, nel momento processuale a ciò dedicato, i risultati dell’attività investigativa svolta. Ci sono molti punti oscuri in questa vicenda, ma verranno chiariti. Più che di ‘gruppo Savona’, come lo chiama Cimino, viene da pensare al ‘Teorema Cimino’, che però non ha nessun valore probatorio, ma rappresenta soltanto il maldestro tentativo del legale rappresentante dell’Ente finito sotto inchiesta di ‘nascondersi dietro un dito’ piuttosto che impegnarsi nella faticosa dimostrazione della correttezza del proprio operato”.