L’ultimo ad aver rinnegato il Reddito di cittadinanza è Luigi Di Maio, il demiurgo della prestigiosa misura partorita nel 2019 dal governo gialloverde: “Credo sia opportuno in questa fase – ha scritto l’attuale Ministro degli Esteri, ex capo politico del M5s, sul Foglio – ripensare alcuni meccanismi separando nettamente gli strumenti di lotta alla povertà dai sostegni al reddito in mancanza di occupazione”. Che significa una cosa: il reddito di cittadinanza non è uno strumento di politiche attive del lavoro. Passivo, semmai. Questo lo confermano anche i dati: secondo l’ultimo report di Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive, del 31 ottobre, “su un totale di 1.369.779 beneficiari del Reddito di cittadinanza tenuti alla sottoscrizione di un Patto per il Lavoro, 352.068 hanno avuto almeno un rapporto di lavoro successivamente alla domanda del beneficio”. Significa il 25% degli aventi diritto. La Sicilia è al secondo posto fra le regioni, con 54.014 beneficiari “occupati”.
Ma il dato non inganni. Alla stessa data, chi ha un contratto di lavoro in corso è appena il 14% del totale: cioè 192.851 percettori. Gli altri lo hanno avuto, e possibilmente l’hanno perso. L’idea di dover associare il “beneficio” all’attività lavorativa – ossia l’obiettivo iniziale del Movimento 5 Stelle – non è stato raggiunto. A dirlo sono in tanti. Fra questi pure Pasquale Tridico, il presidente dell’Inps: “Vedo il Reddito di cittadinanza come uno strumento di lotta alla povertà piuttosto che di politiche attive”. E qualche settimana fa anche il premier Giuseppe Conte aveva chiesto un “tagliando”, e in parte l’ha ottenuta ieri, quando il Garante per la Privacy ha dato il via libera all’Inps per incrociare in modo massivo le banche dati di diversi enti pubblici (Anagrafe tributaria, Regioni, Comuni), e fare controlli sui beneficiari del Reddito di cittadinanza, in modo da stanare i percettori indebiti. L’obiettivo è verificare se i beneficiari posseggano realmente i requisiti per ricevere il sostegno economico, oppure no.
Lo scostamento rispetto allo scopo delineato a marzo 2019, quando il reddito è stato partorito, è netto. Nel mese di settembre Di Maio aveva mosso le prime osservazioni: “Non va cancellato – aveva spiegato a seguito di alcuni fatti scabrosi (erano beneficiari del reddito anche i fratelli accusati dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte) – si può però fare un tagliando, un adeguamento alle attuali necessità del Paese. E questo spirito, oggi, unisce tutto il governo. Credo sia infatti giunto il momento di elaborare un grande progetto per coinvolgere i percettori del reddito nei lavori di pubblica utilità”. Ma anche i lavori di pubblica utilità, coi comuni bloccati da un’assenza di risorse e dalle strettoie burocratiche, hanno perso consistenza. Forse è meglio ricominciare daccapo. Chiamando le cose col proprio nome: stiamo parlando di un sussidio.