Dopo aver superato l’ostacolo della sfiducia, comincia la partita vera. Nello Musumeci è tenuto a ricambiare il favore nei confronti degli alleati che, a denti stretti, hanno perorato la causa di Ruggero Razza. A questo punto, concedere un “rimpastino” – la delicatezza del momento impone sobrietà – è un sacrificio accettabile, dal momento che l’unica alternativa era la crisi. Mettere in discussione un assessore alla Salute nel bel mezzo di una pandemia, va da sé, è stata una pessima pubblicità. Sarebbe andata peggio solo con la censura. Così ha vinto il compromesso, come accade di solito in politica: un baratto di favori inevitabile per concludere la legislatura senza troppi scossoni.
Chi esce indebolito dal “conclave” (cit. Fava) di mercoledì scorso, è ovviamente il presidente della Regione. Che dopo tre anni di bulimia gestionale – di assessorati, sottogoverno e carrozzoni vari – dovrà cedere qualcosa. O meglio, dovrà governare assieme agli altri. Cosa che fin qui non gli è venuta benissimo. Il cerchio magico del presidente, dove sgomitano parecchi assessori oltre ai fedelissimi del suo movimento (Diventerà Bellissima), non basta più per amministrare la Sicilia. Bisogna allargare il raggio d’azione, delegare. Riportare Palermo al centro, spostando l’asse che da Ambelia, fino a qualche giorno fa, conduceva dritta a Grammichele, casa di Raffaele Lombardo.
Anche l’ex governatore, il “fantasma” attivo della politica siciliana, da qualche giorno ha fatto una piroetta e ha stretto un legame con Micciché che neanche ai tempi d’oro. Marciare uniti per colpire insieme. Agli autonomisti non è piaciuto l’atto d’accusa dei Nello Boys nei confronti di Francesco Iudica, cognato di Lombardo e direttore generale dell’Asp di Enna, per la gestione dell’emergenza e per il caricamento (troppo lento?) dei posti-letto di Terapia intensiva sulla piattaforma Gecos, una questione finita al centro dell’audio shock dell’ingegnere La Rocca (con tutto ciò che ne è derivato). Una guerra da bassifondi, mascherata finché si può, che di fatto ha sbriciolato l’asse fra Musumeci e i centristi. Di ciò che resta dei centristi. Carmelo Pullara, prima di mettere in dubbio le abilità di Razza e perdere l’incarico di capogruppo, aveva protestato per la discesa in campo del governatore ad Agrigento, a sostegno di un candidato sindaco che non era il suo. Mentre i popolari di Romano, stanchi delle prese in giro e della scarsa considerazione, da tempo soffrono di mal di pancia.
E mentre Forza Italia rappresenta l’alter ego del presidente, essendo l’unico partito che potrà imporgli di ragionare (per i 13 deputati all’Ars, e perché Micciché non è uno che acconsente alle prese in giro), Lega e Fratelli d’Italia se ne stanno buoni. Anche se fuori dal palazzo sgomitano per inventarsi una candidatura alternativa in vista delle Regionali. Molto dipenderà dai prossimi mesi, da come Musumeci farà proprio e gestirà il cambio di passo che gli alleati pretendono. Il percorso è in salita: non soltanto perché bisognerà fare delle concessioni (anche) su persone e incarichi, ma perché la Sicilia rischia di non essere all’altezza di questa fase storica e della profonda ferita che il Covid ha generato. E in parte si è già visto sui temi economici.
A parte i pochi risultati sbandierati come propri – a partire dall’accordo di finanza pubblica che ha permesso alla Sicilia di risparmiare 780 milioni – la gestione dell’emergenza, al netto dei pasticci negli ospedali e nelle chat, si è rivelata fallimentare. Gli esempi sono molteplici e sempre uguali: dall’erogazione del Bonus Sicilia (si è passati da prestiti “potenziali” di 35 mila a mancette da 2 mila euro) ai voucher per i turisti, dai mancati aiuti ai comuni (il fondo perequativo, passato da 300 a 263 milioni, è oggetto di una proposta di riprogrammazione) al bonus da mille euro per gli operatori della sanità. Sparito anche quello. Dopo una prima delibera di riprogrammazione da quasi 400 milioni, la commissione Bilancio ha dato il via libera a un’altra proposta molto più ambiziosa: vale 1,2 miliardi.
L’assessore Armao ha giustificato le lungaggini prendendosela con l’Ue che “non ha semplificato le procedure”. Ma per il M5s “il governo Musumeci cerca alibi, appigliandosi a fantomatiche procedure lunghe e complesse. No, caro assessore Armao, gli incapaci siete voi e le responsabilità dei ritardi solo vostre”. I deputati Sunseri e Damante si definiscono “basiti nel leggere dichiarazioni dell’assessore all’Economia, che certificano, ove ce ne fosse bisogno, il suo status di campione mondiale di scaricabarile”. “La finanziaria ‘di guerra’ approvata a maggio prevedeva la riprogrammazione per far fronte all’emergenza di circa 1,4 mld di euro su fondi extraregionali e poc – spiega Damante –. E le fantomatiche procedure complesse non c’entrano nulla. Il regolamento europeo, fatto proprio per far fronte all’emergenza Covid, prevede che le operazioni volte a promuovere la risposta alla crisi da Covid possono essere selezionate prima dell’approvazione del programma modificato da parte della Commissione”.
“Se non ne imbroccano una, nemmeno per caso – commenta Sunseri – come possono ancora imputare ad altri, l’Europa, la burocrazia, il governo Conte, le congiunzioni astrali, un fallimento che è ormai chiarissimo? Diventa imbarazzante constatare che questi fondi, per i ‘luminari’ alla corte di Musumeci, sarebbero stati rimpiazzati dalla riprogrammazione dei fondi europei, salvo poi lamentarsi, come fosse un fatto improvviso, delle regole, che invece sono davvero state molto semplificate proprio in virtù del Covid, che ne consentono l’erogazione, ma dettano tempi e modi che sono ben conosciuti da qualsiasi consulente”.
Non è tutto. Il governo, infatti, rischia di sbattere anche sulla prossima Finanziaria. Che a differenza della “manovra di guerra” dello scorso aprile, sarà “sobria e snella”. “Non può che essere coerente con il contesto”, spiega Musumeci. Ma per la Legge di Stabilità bisogna prima attendere il giudizio di parifica della Corte dei Conti che quest’anno, a causa del Covid, è slittato di alcuni mesi. “Se il giudizio di parifica dovesse arrivare ai primi di dicembre – ha detto Musumeci – dovremmo farcela, altrimenti si dovrà ricorrere per qualche settimana all’esercizio provvisorio per poi avere la legge di bilancio entro fine gennaio”. L’anno scorso la parifica della Corte dei Conti arrivò tardi e fu traumatica: certificò infatti un disavanzo monstre da oltre 2 miliardi e costrinse il governo regionale a scendere a patti con Roma – l’accordo fu raggiunto all’antivigilia di Natale – per spalmarlo in dieci anni anziché in tre. Ma solo se Palazzo d’Orleans avesse presentato un pacchetto di riforme che contemperasse, fra le altre cose, il contenimento della spesa (cioè, un taglio secco agli sprechi e ai carrozzoni). A rinviare ciò che non era più rinviabile, però, è arrivato il Covid, che ha portato via con sé anche alcuni tentativi di riforma: quella sui rifiuti non è più tornata in aula da un anno a questa parte; l’Urbanistica si è incagliata al cospetto di palazzo Chigi; di edilizia si sta ancora discutendo.
La Sicilia potrebbe inaugurare il 2021 senza riforme, con l’esercizio provvisorio e con la spesa bloccata, portandosi sul groppone una perdita di Pil del 6,9% e timide previsioni sul rimbalzo dell’economia: secondo l’ultimo rapporto Svimez, appena lo 0,2% rispetto al 3,8% della media nazionale, molto peggio di Puglia e Calabria. Oltre a decine di migliaia di posti di lavoro in meno. Un impoverimento costante e progressivo della nostra terra. Che il partito di Ambelia, e forse nemmeno i prossimi dieci governi messi insieme, potranno scongiurare.