Per Nello Musumeci i margini di manovra si riducono. Le legioni sono sempre più sguarnite. Complice il passaggio di Raffaele Lombardo dall’altra parte della barricata. L’ex presidente della Regione, che fin qui ha mantenuto un atteggiamento di ossequioso rispetto per l’azione di Musumeci, ha dato mandato ai suoi uomini di accordarsi con Micciché: entrambi vogliono un rimpasto. Gli ex Mpa, con due rappresentanti e mezzo in parlamento (Pullara, infatti, è sempre più in rotta con l’ambiente) non pretendono altri assessori (c’è già Scavone), ma starebbero premendo per aggiudicarsi la delega all’Agricoltura, detenuta dal forzista Edy Bandiera. Nessuna contrapposizione con FI, bensì un chiaro disegno per legittimare un turnover nelle file azzurre, con il conseguente rimescolamento delle deleghe.
Musumeci non vuole cedere a queste condizioni – sarebbe un chiaro segnale di debolezza spalmato sui prossimi due anni – ma non c’è altra via d’uscita a una maretta che ha sempre più il sapore della crisi. La legislatura, da questo momento, andrà avanti a “patti e condizioni”, senza prime donne. Micciché pretende l’ingresso in giunta di un agrigentino: Riccardo Gallo Afflitto o Vincenzo Giambrone, proprio al posto di Bandiera. Mentre in “quota rosa” potrebbe rimpiazzare Bernadette Grasso con Margherita La Rocca Ruvolo, l’attuale presidente della commissione Salute, che al momento del suo approdo in FI, alcune settimane fa, venne presentata come un “valore aggiunto”.
Il sogno di Forza Italia (ma è più una suggestione), sarebbe mettere le mani sulla Sanità. Ma per arrivarci servirebbe una rivoluzione che in questo momento, complica la pandemia, non ci si può permettere. La via più breve, quindi, è il rimpastino. Ma anche su questo Musumeci nicchia. Il presidente non vorrebbe inficiare gli equilibri, ma la sua squadra procede a fari spenti e si assottiglia ogni giorno di più. Immaginare di poter amministrare la Sicilia con il “partito del presidente”, e un numero ristretto di fedelissimi (da Falcone ad Armao), sta venendo meno. Una cattiva predisposizione all’ascolto, e una strategia politica rivedibile, toglieranno al colonnello Nello anche l’altra stampella. Il gruppo di “Ora Sicilia”, che ha perso la Ternullo e si appresta a perdere Lantieri, ha le ore contate: il Consiglio di presidenza dell’Ars deciderà di non concedere deroghe (servono almeno quattro deputati). I due reduci, Luigi Genovese e Totò Lentini, si accaseranno al Misto, prima di comunicare la loro adesione all’Udc, che in queste ore corteggia anche i due renziani delusi, D’Agostino e Tamajo. Ora Sicilia, la prima creazione di Razza, doveva essere la quarta gamba del centrodestra: sarebbe dovuta servire alla Lega come appiglio nei palazzi del potere.
Un fallimento dietro l’altro, come l’ipotesi di federazione con il Carroccio, su cui Musumeci s’è messo di traverso (nonostante l’invito di Salvini). La teoria dell’uomo solo al comando – in nome della schiena dritta, dell’onestà riconosciuta, dei modi garbati – adesso sta venendo meno. Il presidente perbene di cui “i siciliani si fidano”, se vuole finire questa legislatura e aspirare alla prossima, dovrà uscire dai recinti di Ambelia – persino l’ex governatore di Grammichele, da cavallo di razza qual è, ha deciso di alzare la posta – e tuffarsi nella realtà di Palermo con tutto ciò che ne deriva. In primis, il rischio.