Il futuro della Sicilia passa dal Recovery Fund. Il piano europeo per la ripresa, che per l’Italia vale 209 miliardi, è strategico anche per l’Isola, cui dovrebbero andarne poco più di una ventina. “Qualche titubanza c’è. Nel Recovery ci sono molti profili discutibili, a cominciare dal fatto che le risorse arriveranno solo nella seconda parte del 2021. Ma se arriveranno è importante che vengano spese bene”, spiega Annalisa Tardino. L’europarlamentare della Lega arriva da Licata, conosce le debolezze strutturali di una terra rimasta indietro per troppo tempo. Ma le sue prerogative vanno al di là delle intenzioni di partito. Nel vertice di palazzo d’Orleans, dove Musumeci ha riunito la maggioranza, è stato compilato il solito libricino dei sogni: dal Ponte sullo Stretto a un porto hub, passando per un aeroporto internazionale nuovo di zecca. La Tardino, però, non si lascia abbindolare: “Sarò io ad avere una visione limitata. Ma nell’elenco ho notato una scarsa attenzione per i collegamenti interni. Non si parla delle difficoltà di chi ogni giorno deve attraversare la regione da una punta all’altra: da Ragusa a Trapani, da Palermo ad Agrigento. I trasporti in Sicilia sono assenti, credo sia necessario ridisegnarli”.
Chi pensa al Ponte è destinato a rimanere un visionario?
“Nel Recovery Plan c’è bisogno di progetti seri. Il nostro segretario regionale, Stefano Candiani, e la Lega hanno insistito per il Ponte e l’alta velocità. Non perché il Ponte sia l’unica opera necessaria, ma perché faciliterebbe i collegamenti col resto del continente. La sua realizzazione rientra nell’ambizione, che spero non rimanga soltanto un sogno, di fare della Sicilia il centro del Mediterraneo. Un collegamento stabile e veloce con la Calabria è necessario”.
Quindi è d’accordo anche lei?
“Se c’è la disponibilità finanziaria, è giusto pensare alle grandi infrastrutture. Però – lo ripeto – bisogna costruire un tessuto dei trasporti che al momento non c’è. Non solo, come qualcuno potrebbe ipotizzare in maniera semplicistica, per agevolare noi siciliani, ma perché credo che lo sviluppo dell’Isola passi dai collegamenti interni. Se la nostra agricoltura è penalizzata e non riesce a competere, è perché deve pagare una sovrattassa rispetto alle difficoltà oggettive di spostare la merce; se il nostro turismo in alcuni luoghi non decolla, è perché è assai complicato raggiungerli. Prima di costruire il castello, bisogna porre le fondamenta. Dobbiamo colmare quel gap strutturale e infrastrutturale per consentire alla Sicilia di essere al passo coi tempi. Nell’ultimo anno, a causa dei miei impegni al Parlamento europeo, ho vissuto nel Nord Europa: sembra di stare su un altro pianeta”.
Voi della Lega siete stati parecchio duri sul declassamento della Sicilia in “zona arancione”. Dopo quello che è accaduto negli ultimi giorni – con le difficoltà di accesso ai pronto soccorso e la saturazione dei reparti di Terapia intensiva – ci avete ripensato?
“La sanità e l’economia sono questioni diverse che si intersecano in maniera pericolosa. Partiamo dalla prima. L’assessore alla Salute in questi giorni è stato vittima di numerosi attacchi, in cui si mettono in evidenza le difficoltà del sistema e la mancata realizzazione di un programma capace di fronteggiare il dilagare dell’epidemia. Ma tutti quelli che oggi gridano allo scandalo, dov’erano negli ultimi vent’anni? Perché non si sono mai lamentati? E’ la stessa classe politica che, con il contributo dello Stato e dell’Europa, ha svuotato la sanità con una gestione vergognosa. A partire dalle nomine dei direttori generali delle Asp”.
Secondo lei l’assessore Razza è immune da responsabilità? Anche la Lega ha avuto da ridire sull’approssimazione con cui si è affrontata la transizione dalla prima alla seconda ondata.
“Forse la situazione è stata presa un po’ sotto gamba e l’assessore avrebbe potuto programmare meglio. Ma è difficile, in pochi mesi, reagire a un evento che fino a un anno fa non era immaginabile. Noi siciliani, che siamo consapevoli della debolezza del nostro sistema sanitario, speriamo da sempre che non si presentino delle necessità. E in tanti, nonostante la bravura dei nostri medici, preferiscono andare a curarsi fuori. Questo è un fattore che ereditiamo da vent’anni di scelte politiche errate”.
E poi c’è l’economia.
“Ecco, inserire la Sicilia in “zona arancione”, è stato come confinarla… I nostri dati economici non vanno sottovalutati. C’è gente che non riesce più a vivere. Chiudere e relegare, preventivamente, la Sicilia in “zona arancione”, significa dare un’ulteriore mazzata a chi in questi mesi si era adeguato a tutte le disposizioni di sicurezza. Ad esempio, i ristoratori. Molti oggi sono chiusi perché con l’asporto non riescono a sostenere le spese. La decisione del governo è stata un duro colpo alla nostra economia. La Sicilia non si può permettere di rimanere chiusa un giorno di più”.
Voi sostenevate che l’esplosione dei contagi, in Sicilia, fosse determinata dall’arrivo dei migranti. Non è andata esattamente così.
“Io non credo che la causa scatenante sia soltanto una. Quello che rivendico, invece, è che il governo, sin da subito, avrebbe dovuto adottare delle strategie coerenti. Se la cosa più importante era prevenire l’aumento dei contagi, sarebbe stato utile effettuare uno screening all’ingresso e limitare il più possibile gli arrivi. Invece non è stato fatto. Sta qui la contraddizione. Da un lato puntavano il dito contro i gestori dei locali notturni che non riuscivano a impedire gli assembramenti nei luoghi della movida; dall’altro consentivano a mille migranti di occupare un hotspot come quello di Lampedusa, dove la capienza è di 190 persone. Questa è la vera contraddizione”.
Però si era scatenata una caccia all’untore che, alla prova dei fatti, non ha aveva modo di esistere.
“Guardi, io non lo dico soltanto a tutela dei siciliani, ma anche di chi arriva. Se vogliamo parlare di integrazione, tutela della salute, diritti civili –temi di cui ci riempiamo la bocca – è assurdo pensare che un hotspot per 190 persone, ne contenga dieci volte tante. In un momento di pandemia, per altro… Io dico solo che non è stato fatto abbastanza per far fronte all’emergenza sanitaria, ma neanche a quella economica e legata alla sicurezza. Ci sono diverse angolazioni da cui analizzare il fenomeno. Ma quando si richiedono degli sforzi sovrumani a un’intera popolazione, la politica deve essere coerente nelle proprie scelte”.
A Mazara del Vallo ci sono decine di famiglie in attesa di avere notizia sulla sorte dei 18 pescatori “sequestrati” in Libia. Lei ha sollecitato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Borrell. Cosa vi ha detto?
“Ovviamente non ci ha ancora risposto”.
Come crede si concluderà questa storia tremenda?
“Abbiamo denunciato a più riprese la mancata collaborazione da parte del governo nazionale, e in cambio ci hanno detto che siamo degli sciacalli. Ma io, fermo restando il principio della riservatezza, credo non sia democratico né civile tacere delle informazioni ai cittadini e alle istituzioni. Come partito, anche a Roma, stiamo facendo il possibile per rimanere vicini alle famiglie. Ma dopo 80 giorni d’attesa, credo che la richiesta di affrontare la questione con eleganza sia difficile da accogliere. Uno degli armatori, che ho sentito un paio di giorni fa, mi diceva che al di là delle preoccupazioni sullo stato di salute dei pescatori, subentrano delle fortissime difficoltà economiche. Oltre alle tasse da pagare si aggiungono i mancati introiti, e i familiari sono al collasso”.
Il governo Musumeci, però, ha stanziato 100 mila euro.
“Non credo basteranno. E comunque spero non facciano la fine dei soldi della Finanziaria. Si parla di cifre solo per andare sui giornali… Resta un dato di fatto: non è la prima volta che dei pescatori di Mazara vengono rapiti in Libia. Già un anno fa avevamo proposto una risoluzione al Parlamento europeo, affinché l’UE si facesse garante di un accordo “terzo” con Bengasi. Resta il fatto che il governo nazionale sta dimostrando tutta la sua incapacità nel gestire la vicenda. Spero che, oltre all’incapacità, non ci sia dietro dell’altro…”.