Se entro la prima settimana di dicembre, come annunciato dalla proiezione shock di Giuseppe Natoli (statistico e data manager dell’unità di Medicina interna del “Civico” di Palermo), dovessimo avere 3.300 ricoveri e 470 intubati, avrebbe ragione Leoluca Orlando. Il sindaco di Palermo, domenica, ha parlato di “strage annunciata”. E anche l’Ordine dei Medici ha chiesto un lockdown generale, in tutta Italia, per evitare il tracollo degli ospedali. In Sicilia, sovrapponendo lo studio di Natoli all’ultimo piano aggiornato di Ruggero Razza, assessore regionale alla Salute, il quadro è allarmante. I posti di Terapia intensiva che si prevede di attivare entro il 30 novembre per i pazienti Covid – 416 in tutta la Sicilia – non basterebbero, infatti, a curare tutti. Ma nemmeno i posti letto per la degenza ordinaria (2.384) riuscirebbero a contenere il ritmo della richiesta.
E’ uno scenario drammatico, che Orlando, in una lettera al premier Conte e al governatore Musumeci, inviata per conoscenza anche al prefetto di Palermo, Giuseppe Forlani, ha esplicitato senza troppi esercizi di stile: “Se è vero quanto denunciato dai media, circa la mancanza di strumenti fondamentali per la cura dei malati e circa la saturazione dei posti letto, rischiamo che a Palermo e in tutta la Sicilia si vada verso una strage annunciata. Se è vero – ha proseguito il sindaco – che nei Pronto soccorso manca l’ossigeno e che nei reparti ospedalieri si è cominciato a scegliere “quali pazienti provare a salvare e quali no”, si prefigurano scenari da “medicina di guerra” che, quali che ne siano i risultati e per quanto possa essere mastodontico l’impegno degli operatori medici e sanitari, porterà comunque una lunga lista di lutti e tragedie umane e sociali”.
Tacciato di irresponsabilità e protagonismo, per una volta il sindaco rischia di averci visto giusto. Tanto che in un’intervista a ‘Repubblica’, poche ore prima, il commissario per l’emergenza di Palermo, Renato Costa, aveva introdotto il tema: “Siamo di fronte a uno tsunami che ha investito tutti”. L’ex sindacalista da un lato ammetteva i limiti del sistema di tracciamento (“E’ saltato, non c’erano risorse a sufficienza”), dall’altro provava a rassicurare per la verità senza riuscirci granché: “La pressione è fortissima sugli ospedali e lo sarà fin quando riusciremo a garantire l’assistenza sanitaria ai pazienti non-Covid. Abbiamo scelto di non lasciare indietro nessuno e ciò comporta sacrifici”. Il commissario, inoltre, ha definito “false e fuorvianti” i messaggi di Orlando, affermando che “la situazione dei posti letto a Palermo è impegnativa ma la affrontiamo in modo adeguato”.
Eppure, nella giornata di ieri sono serviti gli straordinari per allestire venti posti letto in Rianimazione al “Cervello” (i primi di una lunga serie). Il commander in chief di questa missione – la ricerca spasmodica di postazioni di Terapia intensiva per i pazienti gravi – è niente meno che Nello Musumeci, il quale negli ultimi giorni è sprofondato in un silenzio surreale, ma ha preteso dai suoi collaboratori di anticipare di un paio di settimane il completamento del nuovo piano, previsto per il 30 novembre. Non sarà facile. Perché non si tratta soltanto di trovare gli spazi, riconvertire i reparti e allocare la strumentazione. Ma, soprattutto, di mettere le persone giuste al posto giusto, e in Sicilia le principali figure – rianimatori e anestesisti – non si trovano. Il rischio sempre più ventilato è “sottrarre” risorse alle altre prestazioni sanitarie, che nel giro di pochi giorni potrebbero rimanere sguarnite. La coperta è sempre troppo corta, e non si può mandare al macero, o a morire, chi soffre di altre patologie.
Alla luce di questi ragionamenti, e del fatto che sabato, in Sicilia, i tamponi erano meno di un quarto di quelli effettuati in Campania (6.894 contro 25.806), le parole di Orlando sembrano più che assennate. Tuttora incapace di tenere a bada gli avventori delle spiagge e dello street food, o di sbattere fuori a calci la Chianello, quella di #noncenecoviddi, dagli stabilimenti di Mondello – Palermo è una città che fluttua fra il giallo e l’arancio – il “professore” ripiega sul terrorismo psicologico che, pian piano, sta diventando il leitmotiv di queste calde giornate d’autunno. Quelle che precedono il lockdown. Non abbiamo un sistema sanitario in grado di contrastare un’emergenza, figurarsi una pandemia: prima lo capiremo, meno usciremo di casa. E forse potremo salvarci.
Orlando è il precursore dei venti di sciagura che stanno per investire l’Isola. Ha dalla sua un punto d’osservazione privilegiato – è sindaco della quinta città d’Italia – e responsabilità limitate (al massimo gli si chiede di sospendere una Ztl). Può agire da battitore libero. Da opinionista consumato e consapevole. Da coscienza critica e “rigorista” implacabile (non in senso calcistico). Un ruolo che ha abilmente rosicchiato a Musumeci, dopo che il presidente della Regione, durante la prima ondata, aveva insistito tanto sui muscoli. Inutilmente. Le vittime del virus in Sicilia erano talmente poche, e la circolazione del Covid talmente bassa, che Nello è stato il primo a riaprire le discoteche. Ma ci pensate? Le di-sco-te-che. Oggi sembrano estinte. Orlando, nel mese scorso, è stato il primo a vietare lo “stazionamento” nei luoghi della movida, prima che intervenisse il Dpcm di Conte che introduceva l’obbligatorietà di chiudere baracca e burattini alle 18 (e poi del tutto).
Da guitto a “responsabile” è un attimo, dipende da che aria tira. E oggi l’aria è greve. Condanna Musumeci e Razza, reggenti ed eredi di una sanità malata, ed esalta i difensori del popolo, alla Cateno De Luca per intenderci. Il quale ha davvero poche cose in comune con la storia e i principi di Orlando – nessuno osa disquisire su quali siano più meritevoli – ma affronta la realtà con il realismo e pochi fronzoli (al netto delle troppe dirette Facebook). L’ultima di Scateno, sul modello dell’altro De Luca, il governatore della Campania, è stata la chiusura delle scuole “al fine di consentire all’Asp di svolgere in sicurezza i controlli sui contatti stretti” dei casi positivi “ed emettere i relativi provvedimenti anche ai fini del loro tracciamento”. Il sindaco di Messina, nei giorni del giallo e dell’arancio, si è sfilato in maniera intelligente dai partiti degli “aperturisti” e dei “rigoristi”, dando addosso all’ “inutile governatore Musumeci” e chiedendo le dimissioni dell’assessore Razza, per la scarsa lena della sanità di fronte all’incedere della seconda ondata. Che ha avuto ricadute evidenti su un’economia già falcidiata. Ha visto un bersaglio facile e ci sé scagliato contro.
Rientra tutto in una strategia che Orlando e De Luca non hanno pianificato – la pandemia non si piega alla volontà dell’uomo – ma hanno addomesticato alla perfezione. L’uno con l’utilizzo dell’ingegno, della pìetas, della cultura come arma di persuasione. Orlando è perfetto nelle vesti di rappresentante, meno di amministratore. L’altro coi modi brutali che si confanno al suo operato. Indomito, battagliero, scontroso. Verace. Lo stile che gli “ultimi della classe” pretendono dai politici. A confronto Musumeci è un tenero agnellino, e spesso si contraddice. Entrambi, Orlando e De Luca, coltivano passioni e obiettivi: attorno al sindaco di Palermo, potrebbero coalizzarsi le forze del “campo largo” (il professore è ancora tesserato col Pd), e proporlo alla guida della Regione una volta che avrà smesso di fare il sindaco; De Luca, per quel posto, correrebbe anche da solo, perché non ha paura delle sfide. Lo esaltano. Ma prima dei sogni, bisogna coltivare la speranza di uscire da questa terribile pandemia. A suon di preghiere e cazziatoni, le specialità della casa.