All’atto pratico c’è una città, Palermo, che rischia di sprofondare nella monnezza. Come sempre. Sotto il profilo amministrativo, invece, va registrato l’incancrenimento della politica e della burocrazia. Che nell’ultimo anno – da quando cioè i rifiuti vengono trasferiti nelle discariche private della Sicilia orientale, a prezzi abnormi – non sono riusciti a partorire un progetto per l’allargamento della sesta vasca di Bellolampo, tanto meno a fissare un cronoprogramma per l’apertura della settima (costo stimato: 28 milioni), che risulta fondamentale alla luce delle prestazioni scadenti fatte registrare alla voce “raccolta differenziata”. In buona sostanza è colpa di tutti, compresi i palermitani, che non spiccano per cultura ecologica e ambientale. Oltre che della Rap, la società comunale della nettezza urbana che, prima di cadere in disgrazia per il Covid, non ha saputo dare una sterzata alle cattive abitudini: da un lato, dei cittadini; dall’altro, dei propri operai, spesso e volentieri pescati con le mani nella marmellata dei traffici illeciti o, nella migliore della ipotesi, del fancazzismo più sfrontato.
Così la quinta città d’Italia si ritrova nuovamente in emergenza: con un sindaco, Orlando, che propone alla Regione di poter abbancare la frazione umida (tecnicamente si chiama “sottovaglio”) in cima alla sesta vasca di Bellolampo, per rifinire lo skyline della discarica, e, contestualmente, trasportare i rifiuti fuori dalla Sicilia. Pur avendo chiaro un concetto: che i costi aumenteranno (400-500 euro a tonnellata, il doppio di adesso) e che nessuno è disposto a pagare. Sembra una farsa. E mentre il sindaco, che non ha mai saputo ingegnarsi per trovare un rimedio, fa bella mostra di sé trascinando divani e mobili sui marciapiedi del centro – in giacca e cravatta fra l’altro – la Rap minaccia di fermare tutto, se non verrà offerta una soluzione in tempi rapidi. Che poi la soluzione è quella raffazzonata di Orlando: chiudere la sesta vasca con 25 mila tonnellate di immondizia e liberare il piazzale della discarica, dove i mezzi meccanici non possono più fare manovra.
Si aspetta l’autorizzazione della Regione siciliana, previo parere dell’Arpa, che dovrebbe arrivare a ore. Ma è una soluzione temporanea. Permetterà di alleviare il disagio per un paio di mesi, in attesa di capire che fine faranno gli altri rifiuti. Quelli che si accumulano ogni giorno sui marciapiedi. A Palermo la differenziata non è prevista per tutte le aree della città – caso più unico che raro – e infatti la percentuale di raccolta si attesta su livelli obbrobriosi: nel marzo scorso era al 18,7%, ben al di sotto della quota prevista dalla legge (65%) e persino del piano di Musumeci, che nel 2018 impose di salire al 30% per evitare di dover ricorrere al trasporto dei rifiuti all’estero. Una situazione da bollino nero, che non depone a favore dell’impiantistica pubblica. Secondo l’ultimo report sulla gestione integrata dei rifiuti, che l’assessore regionale all’Energia, Alberto Pierobon, ha consegnato all’Ars nello scorso maggio, Bellolampo è una della sei discariche pubbliche siciliane. Ma appena tre funzionano: quella di contrada Cozzo Vuturo, a Enna; quella di contrada Timpazzo, a Gela; e quella di Castellana Sicula, in provincia di Palermo. Mentre hanno fatto la stessa fine di Bellolampo – cioè, esauriti – gli impianti di Sciacca e Trapani.
Tutti gli altri sono privati e alimentano un grande business che salta agli occhi solo di fronte alle inchieste giudiziarie. L’ultima, nello scorso giugno, ha portato all’arresto di Nino Leonardi, patron della Sicula Trasporti, per alcuni traffici illeciti nell’impianto di contrada Grotte, a Lentini. A Palermo, dove di recente è stato scoperchiato un caso di corruzione, però non funziona nulla. Persino l’impianto di trattamento meccanico-biologico, che serve a ripulire i rifiuti prima di imbarcarli sugli autocompattatori per Catania, “lavora a circa la metà della propria potenzialità”, secondo una relazione del dirigente generale del dipartimento Energia, Calogero Foti. Mentre nella discarica di Motta Sant’Anastasia della Oikos, che in un primo tempo respingeva i camion al “fronte”, sempre più spesso arrivano frazioni di pneumatici o materassi. Questo denota la poca accortezza di Rap, che pure negli ultimi due giorni ha minacciato dimissioni in massa dagli organi d’amministrazione oltre alla sospensione della raccolta, di fronte a un mancato ampliamento della sesta vasca di Palermo. Insomma, il caos.
Le soluzioni dovrebbe fornirle la politica. La Regione, innanzi tutto. Dove la proposta di riforma dei rifiuti è ferma alla storica sceneggiata di Musumeci, che nel novembre dell’anno scorso, dopo la bocciatura dell’articolo 1 da parte dei “franchi tiratori”, decise di abbandonare l’aula e comunicò di non metterci più piede fino alla modifica del regolamento e all’abolizione del “voto segreto”. Non ha mantenuto la promessa. Da un anno a questa parte, comunque, il governo ha ripreso a lavorare sulla proposta di modifica, che proprio ieri è tornata al vaglio della commissione Territorio e Ambiente presieduta da Giusy Savarino. Dove la maggioranza avrà non pochi problemi a convincere le opposizioni sulla bontà della riscrittura. Le autorità d’ambito (nove, come il numero delle province) prenderanno il posto di Ato ed Srr: ad esse “competono le funzioni di organizzazione dei servizi, di scelta della modalità di gestione tra quelle consentite dalla normativa vigente, di determinazione ed esazione delle tariffe all’utenza, nonché di affidamento della gestione, stipula del contratto di servizio e della relativa vigilanza e controllo”.
L’impianto della nuova legge – una riforma della governance in senso stretto – non convince però Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, che prima vorrebbero vedere il “piano dei rifiuti”, ossia lo strumento che “costituisce il quadro di riferimento unitario per tutti i livelli di pianificazione e di programmazione degli interventi, anche con riferimento alla programmazione del fabbisogno e della localizzazione dell’impiantistica e di gestione dei flussi di rifiuti”. Questo richiamo è contenuto all’articolo 3 del disegno di legge all’esame della IV Commissione: il che dimostra cos’è davvero prioritario. “Se invece partiamo dalla riforma – spiega un grillino, prefigurando un’altra stasi – si rischia solo di fare confusione”.
L’ultimo “piano dei rifiuti” è aggiornato alla stagione di Totò Cuffaro. Nel nuovo testo si fissano alcuni obiettivi, come l’applicazione delle direttive europee sul riciclo, e si cerca di favorire la nascita di impianti pubblici. Definito il rapporto ambientale e superato lo scoglio delle osservazioni in sede di commissione Via Vas (il piano era stato “bocciato” una prima volta dal Ministero dell’Ambiente, che aveva sottolineato alcune sgrammaticature nel testo), resta un percorso a ostacoli nella pancia della burocrazia: prima dell’adozione finale – che in altre regioni è garantita in tempi celeri – serve un passaggio al Cga e alla Corte dei Conti. L’assessorato all’Energia di Pierobon, però, ha chiesto un parere all’ufficio legislativo e legale di Palazzo d’Orleans per capire se, in base alle nuove norme nazionali sulle semplificazioni, è possibile superare questi passaggi e arrivare dritti in fondo. Nelle more, tutto resta come prima. Immutato. Con Palermo che rischia di soccombere, e a ruota la Sicilia.