Le multe. Sembra questo l’unico deterrente – ma non ancora “il” rimedio – rispetto alla movida selvaggia nel cuore di Palermo. Sono 126 le multe, da venerdì a domenica, per il mancato utilizzo della mascherina nel primo fine settimana in cui il governo ha imposto di indossarla anche all’aperto. Più del 90 per cento di queste sono state elevate a giovani sotto i 35 anni, la sera, nei luoghi del divertimento cittadino. E’ questo il bilancio del primo servizio integrato del territorio mirato al rispetto delle prescrizioni anti coronavirus. Venti i locali multati per violazione delle normative anti Covid. La task force messa in campo dal prefetto Forlani ha dato qualche frutto, ma mai abbastanza rispetto alla delicatezza del momento. I comportamenti superficiali da parte dei giovani, soprattutto teenager, potrebbero avere conseguenze nefaste sulle attività commerciali, che avevano superato a fatica il primo lockdown. Non ne arriverà un altro (non adesso), ma le misure previste dal prossimo Dpcm, oggetto di studio del governo e del comitato tecnico-scientifico, potrebbero segnare un giro di vite per i gestori della “vita notturna”. Ergo, pub e ristoranti. Fra le restrizioni “ammesse” dal ministro della Salute, Roberto Speranza, c’è la chiusura anticipata dei locali (a mezzanotte) e l’impossibilità di sostare all’esterno, in piedi, per consumare da bere o da mangiare. Anche la vendita di alcolici da asporto, dopo una certa ora (le 21?) sarà bandita. È un modo, forse l’unico rimasto, per evitare di abbassare le saracinesche. Mentre la Azzolina ha escluso qualsiasi provvedimento restrittivo per le scuole.
Non siamo ancora all’apice della seconda ondata, ma ci sono un paio di elementi che vanno tenuti in considerazione, in Sicilia come altrove. Il primo è che il Covid ha diminuito la propria carica virale: la stragrande maggioranza dei contagiati è asintomatico. I numeri dei ricoveri in terapia intensiva sono sotto controllo (tre ieri, il totale è di 38) e, al netto di un miglior “deflusso” degli ospedalizzati (dall’assessorato alla Salute è partita una circolare per i manager delle Asp), il sistema sanitario regionale non dovrebbe crollare. Il secondo elemento è che la trasmissibilità del virus resta elevata: l’indice Rt della Sicilia ha raggiunto l’1.22, secondo alle spalle della Campania. E sebbene Musumeci inviti a non avere pregiudizi di sorta, questo vuol dire che siamo il popolo più propenso a “fare festa”. Già, perché la trasmissione delle droplets, le particelle di saliva in cui si annida il nemico invisibile, avviene entrando a contatto: alle feste di matrimonio, il cui numero dovrebbe essere limitato a trenta persone, o all’interno dei focolai domestici, dove, al riparo dal Grande Fratello, diventa più logico riunirsi in massa.
Da qui i tanti cluster siciliani: quello di Villafrati, dove risultano contagiate 90 persone che hanno partecipato a un mega anniversario di nozze, è la cartina da tornasole di un’incoscienza collettiva. Eppure, secondo Musumeci, “c’è un poco di pregiudizio nei confronti del Sud dettato da colleghi giornalisti e perché si ritiene che sia ancora affollato da sregolati, disordinati e da gente irresponsabile. Per carità non c’è dubbio che una sparuta minoranza ci sia, ma noi abbiamo dimostrato di essere un popolo rispettoso delle regole e dobbiamo continuare a dimostrarlo con una responsabilità collettiva e individuale maggiore. Col virus dobbiamo conviverci forse un anno”. A proposito di buone abitudini, c’è un invito generalizzato, rimasto inevaso, a scaricare la app ‘Immuni’ sul cellulare (lo stesso governatore ha ammesso di non averlo fatto): serve a comunicare, in forma anonima, la propria positività e a circoscrivere il perimetro di un eventuale focolaio. La Sicilia è l’ultima per numero di download: il 7,8%. E’ la parte più prudente della società, e anche la meno incline ad ammalarsi.
L’unico modo per replicare alle abitudini insane resta, comunque, la repressione. Musumeci ha chiesto un inasprimento dei controlli, dando la sveglia ai prefetti, ma è impossibile, con gli organici a disposizione delle forze dell’ordine, monitorare adeguatamente gli ingressi dei locali. Verificare chi indossa la mascherina a dovere, e ammonire o sanzionare tutti gli altri. Abbiamo avuto dieci giorni più degli altri per prepararci – l’ordinanza della Regione sull’uso obbligatorio del dispositivo di sicurezza nei luoghi aperti, tranne in presenza di soli conviventi, è del primo ottobre – ma i risultati nel complesso sono modesti. Al netto delle ultime, isolate iniziative (come a Palermo).
Gli altri provvedimenti al vaglio delle autorità nazionali, che dovranno diventare ufficiali entro giovedì, riguardano gli sport di contatto. Non si potrà più giocare a calcetto o pallacanestro, nemmeno in luoghi all’aperto. Mentre chi svolge attività motoria all’aperto – chi cammina, non chi corre – deve indossare la mascherina. C’è anche il ritorno alla pratica dello smart working, a cui la Sicilia è allergica (almeno nel settore pubblico). Giusto qualche giorno fa alcuni dipartimenti regionali hanno riattivato la modalità del “lavoro agile”, pur sapendo che è sgradita a Musumeci. Ma in molti degli uffici centrali e periferici della Regione, mancano i necessari requisiti di sicurezza: talvolta è un problema di spazi, altre di gel igienizzante per le mani (dove sono i dispenser?). Lo stesso segretario regionale della Cgil, Alfio Mannino, ha dichiarato a Buttanissima che non è stato sottoscritto alcun protocollo per garantire la sicurezza sul lavoro. Ma, peggio, nemmeno per regolamentare il lavoro a distanza, che merita certamente un controllo dell’attività svolta e una certificazione della produttività.
Nessun governatore – chiaro il riferimento ai “dissidenti” di questi mesi: da Musumeci, che aveva deciso di chiudere i porti per evitare di importare il virus dall’Africa, alla Santelli, la prima a riaprire gli spazi esterni dei bar, passando per De Luca – può allentare le maglie. Semmai le situazioni lo richiedessero, al contrario, potrà adottare soluzioni ancora più restrittive. Sarà come tornare indietro di qualche mese: senza autocertificazione, e con una sensazione rarefatta di coprifuoco, finché la curva dei contagi non precipiterà come accaduto in estate. Anche se la situazione in Europa appare disastrosa: sabato si sono registrati 123 mila positivi in un giorno, un numero record; la Francia annaspa e in Gran Bretagna fanno sapere che siamo a un punto di non ritorno. L’Italia ha reagito meglio di altri, ma il fenomeno ha valicato una soglia accettabile e rassicurante.
In attesa della Conferenza Stato-Regioni, per mettere a punto i dettagli della “prevenzione”, l’assessore Ruggero Razza sta lavorando sugli ospedali. Vuol evitare che i malati ordinari rimangano sprovvisti di cure e posti letto. Per questo i manager e i primari dei reparti Covid sono stati invitati, con una circolare, a spedire i pazienti asintomatici in isolamento domiciliare o, tutt’al più, negli hotel (come il San Paolo di Palermo o in alcune Rsa riconvertite) allestiti per l’occasione. Le terapie intensive, eccetto il “Cervello”, non sono affollate. Anche se il “Civico” di Palermo, l’ospedale più grande dell’Isola, ha deciso di bloccare temporaneamente i ricoveri ordinari. “Da oggi dovremmo avere nuove disponibilità di posti letto con la riapertura del Covid Hospital di Partinico”, ha specificato Renato Costa, coordinatore dell’emergenza in provincia. C’è a disposizione anche l’Ismett.
Col nuovo Dpcm, fra l’altro, non cambierà il livello di quarantena: 14 giorni più un solo (e non più due) tampone per i malati. Mentre i “contatti stretti” dovrebbero poter beneficiare di uno sconto (massimo 10 giorni). La questione sanitaria resta la più incoraggiante: “I numeri dicono che in Sicilia ci sono poco più di 200 contagiati, la Campania ne ha circa 700 – ha detto Musumeci -. È chiaro che rispetto alle regioni del Mezzogiorno non siamo in emergenza, per non parlare delle regioni del Nord”.
Il grande nodo irrisolto, almeno in Sicilia, è quello economico. Dopo il crollo della piattaforma informatica e la cancellazione del click day, siamo ancora a zero euro spesi per l’emergenza. In realtà, gli unici soldi finita in tasca ai siciliani indigenti sono i trenta milioni previsti per l’assistenza alimentare. Si tratta della prima tranche (il totale era di 100 milioni, ma 70 rimangono bloccati). La Regione non ha ancora pubblicato il bando per i tour operator e le agenzie di viaggio, tanto meno quello per le scuole (stanziati 38 milioni, almeno inizialmente, per una riapertura in sicurezza). E ha rinviato quello per tassisti e noleggio con conducente, promettendo di inserire autoscuole e studi fotografici in un provvedimento da 80 milioni che arriverà a breve (dicono). Nel frattempo, attende di conoscere il destino dell’incartamento spedito a Roma qualche giorno fa per la rimodulazione dei fondi Poc. Passeranno settimane, forse mesi.