Taglio e non (più) dettaglio. Rigore e cura delle linee. Signore amanti della paccottiglia, dei cristalloni, degli zepponi, dei capelloni gonfiatoni tenetevi forte perché il vostro momento è finito. Non basterà una tonnellata di strass per mascherare la bruttezza dell’abito: vi toccherà comprarne uno in meno, tagliato bene. Lo spirito colto-minimalista di Hubert de Givenchy è sceso sull’assise della haute couture parigina illuminandola tutta di immenso, perché non si erano mai viste collezioni tutte così incantevoli, così frizzanti e allo stesso tempo eleganti e pure provocatorie.

La svolta di Dior verso una haute couture leggiadra, rispettosa dell’eredità del fondatore, rigorosa e nel contempo moderna è senza alcun dubbio il risultato dell’arrivo di Pietro Beccari, ex Fendi ed ex Louis Vuitton, al timone della griffe, così come non ci sono dubbi che le derive “magliettare”, già viste negli anni della direzione creativa di John Galliano (J’adore Dior, come dimenticarlo), rispecchiassero una certa predisposizione per il marketing pop e massificato della gestione precedente. Il senso di rigore e di chiara eleganza che emanava da questa e da – davvero quasi tutte – le altre collezioni è la dimostrazione che il mondo degli sneakettari non sta davvero imponendo le regole come sembrava, e che una via alternativa alla gadgettistica portata in scena da Virgil Abloh all’ultima collezione di Vuitton Homme è possibile, ed è possibile perfino nella collezione creativo-concettuale di Galliano per Maison Margiela Artisanal, nei suoi vestiti che recano la memoria degli abiti che stanno al loro interno, nelle sue donne nomadi della memoria e di sé.

C’è un mercato, nemmeno troppo piccolo perché grazie alla Cina i clienti della couture sono raddoppiati, che sogna il bello. Che vuole l’abito dei sogni e che non ritiene necessario sia ricoperto di cristalli e di ricami per ritenerlo tale (fateci caso, i capi più belli abiti sono tagliati bene, non crollano sotto il peso dei cosiddetti embellishment e valorizzano la figura di chi li indossa). Quando c’è stato da osare, i couturier hanno scelto le piume, bellissime, grandi e importanti cappe, gonne, bordure, oppure i volant doppiati, gonfi come sogni e nuvole. Spettacolare Valentino, soprattutto nel trattamento del colore, materia difficilissima in cui Pierpaolo Piccioli sta diventando un vero maestro, lungo la scuola dei Rosso Fiorentino e del Pontormo, da lui prediletto. Però, senza alcun dubbio, l’applauso più forte va tributato a Giorgio Armani, e non solo per la sua collezione ricchissima, presentata all’ambasciata d’Italia che è luogo molto adatto a lui, vero ambasciatore della moda italiana da quarant’anni, ma per non aver mai abbandonato il rigore di cui ora tutti sentono disperatamente il bisogno.