Se c’è qualcuno che esce peggio della Finanziaria dall’impugnativa di Palazzo Chigi – che ha cassato una dozzina di articoli e una ventina di norme della legge di stabilità siciliana – quel qualcuno è Gaetano Armao, assessore al Bilancio, vice-governatore della Regione, che il Movimento 5 Stelle ha chiesto candidamente a Musumeci di mettere alla porta.
Il governo centrale ha scombussolato la Finanziaria approvata all’Ars. Non che non fosse nelle attese: bocciata, perché incostituzionale, la norma relativa alla migrazione degli ex Pip (poco meno di 3mila) nella Resais, la partecipata della Regione che avrebbe provveduto ad accoglierli e stipendiarli. Ma anche il pre-pensionamento per i dipendenti degli enti regionali, l’assunzione dei catalogatori della Sas e una serie di contributi a pioggia – per cui il governo regionale si era mostrato di manica eccessivamente larga – sono stati rispediti al mittente.
Alla fine della baraonda, il vicegovernatore Armao, primo firmatario della legge, ha avuto la faccia tosta di dichiarare che “il bilancio è indenne da censure, mentre la legge di stabilità è stata impugnata per aspetti limitati e che potranno essere chiariti. Abbiamo provocato il contenzioso sui 600 milioni delle accise che lo Stato deve alla Sicilia. Adesso la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi. Dopo una lunga e positiva interlocuzione condotta con i ministeri è stata salvata la norma sulle stabilizzazioni dopo decenni nei comuni”.
Stringate dichiarazioni che non hanno colto di sprovvista il Movimento 5 Stelle, che a tarda sera, quando l’aria su Palermo era già diventata rancida, ha deciso di saltare addosso all’assessore: “Ed eccolo qua il capolavoro firmato Musumeci-Armao. Quando dicevamo in commissione e in aula che la finanziaria era infarcita di errori macroscopici che sarebbero certamente stati impugnati, lo dicevamo a ragion veduta – hanno spiegato Zafarana e Cancelleri del M5S -. Se questi sono gli esperti della politica, gli stessi cioè che in un recente passato hanno creato i disastri che ben conosciamo, allora la Sicilia è condannata, nero su bianco. Parola di Consiglio dei Ministri”.
Da tecnica, la nota diventa man mano politica e mette nel mirino l’assessore al Bilancio: “Armao non è soltanto tecnicamente incapace, ma anche disonesto intellettualmente, perché tra le norme impugnate ci sono provvedimenti che portano la firma del Governo regionale. Abbiamo detto mille volte, in Aula e in commissione, che molte di quelle norme erano palesemente incostituzionali e invece, gli esperti della politica hanno preferito andare per la loro strada. L’unica cosa da fare adesso per Musumeci è mettere alla porta Armao, che oltre ad essere il re dei conflitti d’interesse in Sicilia, vedasi caso Riscossione, prima mente sulla trattativa con Roma, venendo immediatamente sbugiardato dal ragioniere di Stato e poi si fa impugnare mezza finanziaria a sua firma. Della sagra dei dilettanti la Sicilia non ha certo bisogno. Solo Musumeci è riuscito a fare peggio di Crocetta”.
Acque agitate anche in seno al centro-destra regionale, dove Armao, col tempo che passa, inizia a diventare motivo d’imbarazzo. Scomodo lo era già prima, dato che persino in ambienti vicini a Forza Italia la sua presenza nell’esecutivo, “imposta” da Berlusconi e non suffragata da un singolo voto che fosse uno, alle ultime Regionali, potessero giustificarne un peso così determinante. Prima di scegliere Musumeci come candidato governatore, Berlusconi aveva fatto il nome del leader degli indignati – ma dove sono adesso gli indignati di Armao? Si sono chiusi in casa dopo il 5 novembre? – arrivando a proporre il suo nome come presidente della Regione. Adesso il vice-governatore, che non ha pagato 22 cartelle esattoriali al Fisco e risulta “moroso” nei confronti di Riscossione Sicilia che lui stesso, come assessore all’Economia, monitora, rischia di fare la fine del sorcio. Qualora Musumeci decida di intervenire, e imputare a Cesare quel che è di Cesare. Fallimenti compresi.