C’è ancora un mese e mezzo per trovare una soluzione, ma le parti restano distanti. Lo store Rinascente di via Roma, a Palermo, potrebbe chiudere il 31 ottobre. Lasciando per strada i circa 200 lavoratori fra personale dipendente e indotto. Il gruppo milanese sta cercando un accordo con i proprietari dell’edificio – su cui si è allungata l’ombra di altre aziende, fra cui Zara – per alleggerire un canone d’affitto considerato “fuori mercato”. Soprattutto adesso che la crisi morde. Fabrica Immobiliare, però, avrebbe messo gli occhi sulla licenza commerciale da 1,2 milioni, e studia un modo per accaparrarsela.
Rinascente, però, non è soltanto il luccichio sfrenato delle sue vetrine. Né si può ridurre a freddo business, o a una disputa fra gruppi commerciali. La protesta che per un paio di giorni ha mobilitato i lavoratori in piazza San Domenico, la porta d’accesso alla Vucciria, ha offerto uno spaccato di vita e di storie. Di uomini e donne (soprattutto), palermitani, che non vogliono assistere inermi a questo regolamento di conti. Al quinto piano dell’edificio, ormai da tre anni, staziona “Sicilò Tutticrudi”, il ristorante di Francesco Piparo.
Con i suoi piatti che sanno di Giappone, ha esaltato odori e sapori del Sol Levante, immergendosi su Palermo attraverso una terrazza panoramica su cui si adagia dolcemente lo skyline della città. “Una vetrina nel centro storico”, la chiama lui, “che non può scomparire”. Oggi l’unico retrogusto amaro scende giù, dalla bocca alla gola: “In queste ore vedo scorrere di fronte a me tutto ciò che di buono abbiamo seminato. I progetti, gli investimenti. Ma vedi anche le persone che ci sono dentro. E prevale l’amarezza. Senza Rinascente – spiega Francesco, ingegnere mancato e fratello del cuntastorie Salvo – anche Palermo perderà il suo appeal. Questo posto è lo specchio di ciò che voleva diventare il centro storico. L’ultimo baluardo di una via Roma martoriata. Una sorta di cattedrale al cui interno si trovano i migliori marchi”.
La sensazione che prevale è il dispiacere. Personale, per un posto di lavoro in bilico; e collettivo, per aver perso (speriamo mai) il privilegio di osservare dall’alto il mare e le vecchie cupole sorseggiando un Bellini. Piparo ha un lungo trascorso alla Rinascente: era lo chef della food hall, al quarto piano. Oggi è a capo di Sicilò, che conta otto dipendenti: “Anche noi della ristorazione, nel solco della tradizione Rinascente, abbiamo dato un taglio medio-alto, di caratura internazionale. Nel mondo e nelle grandi città, come Parigi, i ristoranti con terrazza panoramica esistono da sempre. Noi abbiamo preso spunto, e ha funzionato. Stava funzionando. Il “classico” ristorante lasciava spazio a una concezione più moderna, dentro una location unica. La gente e i turisti sono innamorati di quel posto. Gli piace provare un cibo moderno e inconsueto, e nel frattempo osservare un vecchio campanile”. E’ una formula vincente.
Nel reparto food, tra quarto e quinto piano dello store, lavorano una trentina di persone (compreso l’indotto). I dipendenti sono tutti palermitani. Da oggi devono chiedersi, sono tenuti a farlo, cosa avverrà il 31 ottobre se saranno “sfrattati” da casa: “Sicilò perderebbe un investimento economico importante – spiega Piparo –, una vetrina sul centro storico. Se dovesse chiudere sarà una sconfitta per tutti noi, così come per le persone che ci hanno seguito in questo percorso, e per la città che guarda a un turismo più pregiato. Fino a qualche anno fa piazza San Domenico era invasa da automobili e bancarelle. Noi l’abbiamo rivalutata. Siamo il biglietto da visita della Cala, un quartiere di lusso dove oggi sorgono alberghi e B&B. Ma ripeto: se dovesse chiudere, non saremmo vittime di una crisi aziendale. Questo è abusivismo edilizio. Una speculazione in piena regola. Fa più male”.
Francesco perde il dolce disincanto, e viene sopraffatto dalla rabbia. “L’intermediario di questa trattativa, nonostante varie perizie, pensa che il valore dell’immobile sia di un’altra misura. Ovviamente sono accordi fra privati e non possiamo entrarci. Ma non la chiamerei rinegoziazione. Bensì speculazione. Continuano a speculare sul rilancio di imprese e lavoratori, che in questo momento, invece, andrebbero sostenuti. Siamo noi a metterci passione e fare sacrifici”. Contro le speculazioni serve la politica, ma Piparo non si fa illusioni: “Io faccio il mio lavoro, i politici il loro. Ma non trovo conveniente che in una regione dove il prodotto interno lordo è garantito dai turisti, si decida di chiudere un posto come Rinascente, che di per sé ne attira molti. E in più a Palermo, dopo i progressi degli ultimi anni”. Per fermare la speculazione esiste l’arma del compromesso. E la politica sa come fare. Il sindaco Orlando, ma anche il capogruppo di Italia Viva al Senato, Davide Faraone, ha chiesto l’intervento dei ministri Patuanelli (Sviluppo Economico) e Catalfo (Lavoro). Sarà lo Stato a salvare Rinascente? Francesco non lo dice apertamente, ma un po’ ci spera.