L’ex direttore sanitario dell’ospedale Pediatrico e “Civico” di Palermo Giorgio Trizzino, indica la via al Movimento 5 Stelle. Il medico, palermitano, siede da un paio d’anni alla Camera e ha avuto il privilegio di osservare dall’interno la metamorfosi dei pentastellati. Passati dalla protesta alla proposta, e finiti a guidare il Paese con percentuali quasi bulgare. Da poco, però, si è aperta una nuova fase. Figlia delle difficoltà (elettorali) e del compromesso. Gli iscritti alla piattaforma Rousseau, infatti, hanno scelto di derogare alla regola dei due mandati (al momento vale solo per i consiglieri comunali). Ma soprattutto di allearsi coi partiti tradizionali, specie a livello locale. Una rivoluzione.

Onorevole Trizzino, il Movimento sta cambiando in meglio o in peggio?

“Non so se sta cambiando. Vorrei, però, che ci fosse un’evoluzione verso una fase più matura. Il Movimento ha bisogno di completare il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Che non significa soltanto determinare il numero dei parlamentari, ma avere la capacità di pensare, fare politica ed essere forza di governo. Quello che è accaduto su Rousseau, in fondo, è quello che ci immaginavamo: questa base, anche se un po’ variegata e non meglio identificata, risente ancora delle pulsioni che provengono spesso da stati emotivi ”.

Per molti è una fortuna derogare al limite dei due mandati.

“Non capisco perché, al termine di un periodo di maturazione politica, come quella rappresentata da un paio di mandati in Consiglio comunale, si debba pagare pegno e non si possa accedere ad altri incarichi. Concordo sulle nuove regole. Però, se non si è nelle condizioni di andare avanti perché è evidente che non si sono prodotti risultati misurabili, ecco che allora ci si deve fermare”.

Come?

“Bisogna trovare uno strumento per valutare le performance dei consiglieri comunali, ma anche dei parlamentari regionali e nazionali. Ci sono ministri, deputati e senatori che hanno lavorato bene e meritano di continuare a esercitare la loro attività. Altri che non hanno fatto un’interrogazione o un disegno di legge è giusto che non siano più candidati”.

Lei si è rammaricato per il mancato accordo col Pd nelle Marche. Il reggente del M5s, Vito Crimi, ha detto, però, che con il Pd non esiste un’alleanza strutturale.

“Penso che le esigenze dei territori vadano rispettate, ma anche ricondotte a un orientamento nazionale. Ciò che sta accadendo in Puglia e nelle Marche è emblematico. I gruppi locali decidono su strategie che hanno ripercussioni a livello centrale. Questo non può funzionare. Bisogna dare al Movimento l’identità di partito nazionale che decide anche tenendo conto delle esigenze dei territori. Non basta che ci siano quattro consiglieri regionali o comunali, a cui non va bene un’alleanza, per far saltare tutto. Bisogna guardare al contesto nella sua interezza, e non privilegiare l’aspetto particolare. Da questo punto di vista sono molto laico: l’Italia ha bisogno di un vero bipolarismo, con una destra migliore, più democratica rispetto all’attuale – il Paese lo merita – e un polo di sinistra, che in passato non si è distinto per il buon governo, che rappresenta comunque la possibilità sviluppo del paese verso una visione più democratica, ecologista ed in linea con le nuove tendenze economiche in campo mondiale. Il Movimento 5 Stelle era nato per rappresentare il cambiamento”.

Ma il processo si è arrestato di fronte ai numeri. A livello locale il M5s quasi non esiste.

“Bisogna modificare l’assetto interno del Movimento perché possa diventare una forza politica in grado, anche, di allearsi. Io provengo dal mondo cattolico e democratico, ma sono stato al governo con la Lega ed ho avuto l’opportunità di apprezzare alcuni colleghi del Carroccio che si sono comportati lealmente fino al mojito del Papete. Poi improvvisamente tutto è cambiato. Oggi mi trovo molto a mio agio con i colleghi dell’area di centro sinistra. La politica deve cambiare il metodo di scelta dei politici. Il Paese merita che a governarlo siano persone capaci, che abbiano un background culturale vero, non inventato. E questo è possibile pretenderlo dai martiri di destra e di sinistra ed ovviamente dal M5S. La politica è una cosa seria e complessa, che presuppone studio e formazione. In Italia sono in pochi a poter dimostrare di esserne in possesso”.

Se c’è una città dove appare complesso mettere insieme il M5s e l’area di sinistra quella è Palermo. Lei di recente non ha nascosto un certo malumore per la gestione di Orlando.

“Cosa non abbia funzionato a Palermo è sotto gli occhi, le orecchie e il naso di tutti. Sul futuro, però, sarei un po’ più ottimista. E’ vero che esistono delle incomprensioni: ma bisogna scoprire e individuare una persona con caratteristiche tali da potergli affidare il governo della città. Non credo sia così difficile”.

La Regione siciliana vive una fase di preoccupante stagnazione. Il governo Musumeci non è ancora riuscito a rispondere all’emergenza, almeno in termini economici. Qual è la sua impressione?

“Ritengo che Musumeci sia una persona onesta e abbia messo tutta la sua passione per governare un territorio molto complicato. Dalla mia bocca non uscirà una sola critica feroce nei confronti del presidente, ma anche lui ha fatto delle scelte non opportune. A partire da qualche alleanza e qualche scelta individuale. Forse avrebbe dovuto essere più coraggioso e determinato sui temi che riguardano l’ambiente, la gestione dei rifiuti, la viabilità. Sulla pandemia, tutto sommato, ha avuto la fortuna di non dover gestire i numeri delle regioni del Nord. Ma è la strategia sanitaria che, in Sicilia, dovrebbe cambiare”.

In che modo?

“La sanità in Sicilia costa troppo perché le persone hanno l’ospedale come unico punto di riferimento. Abbiamo una concezione ospedale-centrica non più adatta ai tempi. Bisogna aprire verso altre formule che si sono dimostrate più efficaci, come la medicina territoriale e l’assistenza domiciliare. Quando ci arriveranno i fondi dall’Europa, ammesso che arrivino, bisogna avere il coraggio e la lungimiranza di modificare il sistema sanitario nazionale e regionale, creando veri collegamenti fra ospedale e territorio, facendoli funzionare bene. La medicina territoriale è stata strutturata male. Con una visione più moderna ed efficace, bisogna rimodernarla. Se fossi l’assessore Razza raccoglierei questa sfida. Può farlo perché ne ha le capacità, è una persona abile”.

Une delle ultime polemiche ha riguardato il lockdown. Il Comitato scientifico aveva proposto delle chiusure differenziate, il governo Conte ha deciso per la chiusura totale. Ha sbagliato?

“Assolutamente no. Resto convinto che bloccare le attività in quel momento è stato fondamentale. Lo dicono anche i dati: attualmente, siamo il Paese europeo con il minor numero di contagi. Anche se stanno aumentando nuovamente”.

Ecco, appunto. Stiamo sbagliando qualcosa o era normale che accadesse?

“Sicuramente è il virus che continua a non sbagliare. A differenza di ciò che viene scritto, forse anche in malafede, non c’è alcun cambiamento, mutazione o indebolimento. Ma si sta abbassando l’età media. Gli anziani, infatti, sono molto più prudenti e osservano con scrupolo le indicazioni sull’uso dei dispositivi di protezione. Cosa che i più giovani non fanno, o fanno parzialmente. Il virus trova campo libero nella fascia di persone che si protegge meno. E la colpisce allo stesso modo di com’era accaduto nella fase-1 con gli anziani. Anche i ragazzi finiscono in rianimazione, questo deve servirci da monito”.

Come se ne esce?

“L’unico modo per affrontare i prossimi mesi è alzare il livello di guardia e di autotutela, indossare le mascherine e seguire le indicazioni dell’OMS. Bisogna anche saperle utilizzare le mascherine. Da chirurgo, non tollero che le si tocchi continuamente o le si poggi ovunque. In questo modo viene meno la loro funzione ed anzi si diffonde più facilmente il virus. Questo Paese ha scarse conoscenze nel campo dell’igiene e della prevenzione in ambito sanitario”.

E’ un Paese che si arrabbia per la chiusura delle discoteche.

“Il governo deve continuamente sottostare a pressioni di ordine psicologico, sociale, economico. Deve barcamenarsi tra il veleno spruzzato continuamente da alcune vipere e un atteggiamento di prudenza, che imporrebbe altre scelte. Di certo non avrebbe riaperto locali, pub e discoteche, se non ci fosse stata la pressione di una certa politica, ma anche di un determinato contesto sociale. I giovani ambivano soltanto a ritrovare la libertà. Adesso la stiamo pagando. Qui come nel resto del mondo. Nei momenti del naufragio, tutti devono stare dalla stessa parte dell’equipaggio e non possono agire autonomamente”.

Sulla scuola si è fatta una certa confusione. Mancano le linee guida per la riapertura, che avverrà fra meno di un mese.

“Analizzare un qualcosa che non esiste è un esercizio spericolato ed infatti le linee guida non sono ancora state pubblicate. La scuola è uno dei pilastri del funzionamento del nostro Paese: è importante che alla ripresa vengano garantiti dei canoni di sicurezza. Ma di fronte a una scuola che cadeva a pezzi fino a qualche mese fa, a causa di decenni di malgoverno, non è giusto imputare tutte le colpe a chi sta provando a correre ai ripari. E’ normale che anche questo governo ogni tanto abbia incespicato, ma adesso è necessario che i ragazzi tornino a scuola, perché la didattica a distanza non risponde alle loro esigenze. I giovani hanno bisogno di socialità, di stare insieme, di studiare insieme, ma devono capire che anche loro sono vettori di contagio. La vera scommessa è renderli più responsabili”.