Ognuno ha il diritto di allearsi con chi vuole. E’ la politica, bellezza. Non fa eccezione il Pd siciliano, che in queste ore, sulla falsariga di quanto accade a Roma, sta cercando il giusto compromesso per avvicinarsi alle posizioni del Movimento 5 Stelle, spacciandole (anche) per proprie. Così sono nate delle alleanze nei Comuni, da Termini Imerese a Barcellona Pozzo di Gotto, che proseguiranno fino alle prossime Regionali, come annunciato da Giancarlo Cancelleri. Molti punti programmatici, destinati – troppo spesso – a rimanere aleatori nel pantano dei palazzi, coincidono: chi non sosterrebbe una lotta per i diritti dei lavoratori e contro le diseguaglianze, o una visione più ambientalista della società? Poco importa le posizioni sulla giustizia, sulla riforma elettorale, sui vitalizi e su mille altre cose che hanno caratterizzato i percorsi degli uni e sacrificato la credibilità degli altri. E importa ancora meno dei vecchi insulti, rievocati a ogni piè spinto dai rivali, per sottolineare come si tratti di un’operazione incoerente. Ma chi, in politica, non lo è mai stato?
Nei mesi prima e dopo l’avvio del lockdown, partendo dal Conte-bis, un appiattimento si è reso ancor più necessario. Prima per fare un torto a quel “mostro” di Salvini, e impedirgli di salire al trono; poi per uscire da un anonimato elettorale, che si stava abbattendo su entrambi i partiti, che erano apparsi fiacchi alle ultime competizioni; e infine per affrontare l’emergenza con un governo stabile. Insomma, lo scenario della pandemia ha spinto i due schieramenti, che si evitavano come la peste – anche il segretario Zingaretti aveva escluso qualsiasi ipotesi di governo coi grillini – a cingersi in un abbraccio poco sincero, ma dovuto. Date le circostanze, e per salvare le apparenze, è un passo che andava fatto. Consapevoli che si tratta di un calice amaro, ma non ancora indigesto. Il partito di Bibbiano va bene ai Cinque Stelle, ma anche il Pd ha imparato ad accettare, con tutte le sfumature del caso, il Movimento anti-casta, della protesta, dei vaffa, delle manette. Che solo adesso, fra tanti imbarazzi, ha compreso il senso della realpolitik, cedendo ai compromessi. Nessuno governa solo con l’onestà.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Pd e M5s si stanno miscelando insieme. Ma al loro interno restano le anime irrequiete. A Roma, infatti, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha scritto un manifesto “alternativo” a quello diffuso nei circoli da Zingaretti. E ha spiegato al ‘Foglio’, con impagabile lucidità, che “registro la decisione del M5s di aprirsi al tema del confronto con le altre forze politiche, a partire dal Pd. Valuto positivamente l’abbandono di una prospettiva di delegittimazione di chi è diverso da loro, aprendosi invece al dialogo. Ci confronteremo con questa novità nei prossimi mesi. Senza avere però la pretesa di annullare o azzerare quelle profonde e radicali differenze politico-culturali che esistono tra noi e i Cinque Stelle, che rimangono tutte e che danno un carattere tattico alla nostra alleanza, molto distante da quella rappresentazione di un’alleanza prospetticamente stabile perché genetica e culturale. Differenze radicali che negli scorsi anni hanno portato ad aspre polemiche reciproche”. Il primo passo per non cedere alla tentazione del “va tutto bene”, è ammettere che in passato non è andato bene un bel niente. E fra gli ortodossi del Pd, quella di Guerini è una posizione che piace.
Due sindaci importanti, Nardella e Gori, rappresentano oggi la versione critica di un Partito Democratico sempre più schiacciato sugli ex rivali. “Prima di legarsi in un matrimonio politico con i grillini – ha detto l’ex delfino di Matteo Renzi, a Firenze – si dovrebbe verificare l’effettiva comunanza di valori, metodi e programmi. Ma soprattutto prima di fare alleanze strategiche e scegliere leggi elettorali più o meno convenienti, il Partito si chiarisca su cosa vuole essere”. E ha invocato un congresso. Come il primo cittadino di Bergamo, d’altronde: “Non si farà domattina – ha detto Gori -, anche perché l’autunno temo non sarà una passeggiata, ma è lì che bisogna arrivare. Non puoi ribaltare di 180 gradi la linea di un partito senza passare da un congresso. C’è e deve esserci una differenza tra una leale e tattica collaborazione di governo, e il venir meno al proprio Dna. Tra un accordo e una resa ai Cinque Stelle”.
In Sicilia la situazione appare – ma non è detto che lo sia davvero – meno frastagliata. Da poco è stato proclamato un nuovo segretario, e Anthony Barbagallo si è subito sincerato che il partito si depurasse dalle correnti e andasse verso una direzione univoca: l’accordo coi Cinque Stelle e la costruzione di un “campo largo”. Qualche giorno fa, in un’intervista a Live Sicilia, ha affermato che “per il Partito Democratico l’alleanza con i Cinque Stelle è naturale e va condita con un allargamento del centrosinistra che guardi da un lato alle forme progressiste e riformiste del mondo della sinistra, dall’altro a un campo largo con chi governa oggi con noi a Roma ed è opposizione a Palermo”. Sì, ha detto naturale. Anche se il passato, al netto dei temi citati in apertura, suggerirebbe il contrario. La teoria del “campo largo”, che per la verità vorrebbe coinvolgere tanti attori di sinistra – da Fava a Bartolo – e potrebbe lasciar fuori i moderati di centro, specie i renziani più accaniti, è il mantra dell’ex sindaco di Pedara. Che l’ha posto a condizione della sua candidatura e a breve, magari a partire dalle prossime Regionali, vorrebbe raccogliere i frutti del suo impegno e delle sue parole.
Il tema, oggi, è capire fin dove i “dem” vogliano e possano spingersi. Se pensano che questa sia la strada giusta o utilizzino questa locuzione – campo largo – come una foglia di fico, per coprire le vergogne di un’alleanza anti-storica e per certi versi imbarazzante. I big del partito sono in vacanza e non parlano. E poi “il segretario ha appena espresso una posizione e sarebbe indelicato intervenire di nuovo su questo tema”, ci dice uno di loro. L’unico a esprimersi è Giuseppe Lupo: “In questi anni in Assemblea Regionale – dichiara – abbiamo lavorato insieme al M5s trovando spesso un’intesa di opposizione all’inconcludente governo Musumeci. Pd e M5s stanno governando bene l’Italia affrontando l’emergenza Coronavirus. Anche in Sicilia dobbiamo lavorare insieme per il futuro governo dei Comuni e della Regione. Il Movimento in questi anni è diventato forza di governo, aprendosi all’alleanza col Pd. È importante definire i temi per dare contenuto all’intesa anche sul territorio. Europa, Mezzogiorno, Lavoro, Ambiente, sono certamente quattro temi che possono unirci. Certamente è necessario costruire un campo largo con tutte le forze politiche alternative alla destra”.
Dove termini il tentativo di “arginare” il nemico e inizi quello di costruire soluzioni è ancora poco chiaro. Ma che le due fazioni si guardino in cagnesco è sottolineato anche da alcuni tweet. Come quello di Nuccio Di Paola, deputato regionale del Movimento 5 Stelle, che senza filosofeggiare troppo, rende l’idea con una fiaba del passato: “Ve la ricordate la storia di Cenerentola? Le sorellastre cattive, al gran ballo, erano pronte a conquistare il principe azzurro. Ma l’amore vero trionfò e il principe azzurro scelse la bella e umile Cenerentola. Ecco, da un paio di giorni a questa parte, alcuni elementi del Pd siciliano sembrano le brutte copie delle sorellastre di Cenerentola. Le alleanze, quelle belle, sono strette con i cittadini e con chi si rinnova veramente. No sorellastre, sì Cenerentola”.
Pd e Cinque Stelle, comunque, si stanno muovendo. Voteranno entrambi sì al referendum costituzionale per ridurre il numero dei parlamentari: i “dem” non l’avrebbero mai considerata un’ipotesi praticabile fino all’altro ieri. Ma la convivenza è troppo breve e la relazione ancora “aperta”. E se il Partito Democratico, come esternato da Guerini, non può perdere il suo stampo maggioritario, il M5s – che alle ultime Politiche, in Sicilia, aveva preso il 50% – non sa ancora se si adatterà in una coalizione di ampio respiro. Che accolga al suo interno le anime più esasperate della sinistra e, in teoria, anche l’altro nemico storico: Renzi. Lo stesso Barbagallo, nell’intervista di cui sopra, ha offerto una scialuppa a quelli di Italia Viva (“Speriamo si trovi la possibilità di fare un percorso condiviso”). Nicola D’Agostino, deputato renziano all’Ars, ha chiesto “condizioni alla pari”, mentre il collega Edy Tamajo, con Buttanissima, è sempre stato schietto: “I Cinque Stelle vogliono che tutto vada allo sfascio, altrimenti non riescono a intercettare il voto di protesta. Noi siamo esattamente l’opposto. Stiamo cercando di allargare il perimetro. E speriamo che all’interno possa starci pure il Pd. E’ un processo, però, che prevede l’isolamento degli estremi, dei sovranisti, dei populisti”. Come il Movimento 5 Stelle. I matrimoni, d’altronde, si fanno in due. In tre comincia ad essere un problema.