La sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, che condanna due ex governatori – Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta – e relativi assessori a risarcire la Regione siciliana per la nomina illegittima di Patrizia Monterosso nel ruolo di segretario generale, getta un fascio di luce sulla nomina dei cosiddetti dirigenti di “terza fascia” nelle posizioni apicali della burocrazia regionale. O un fascio di ombre, dipende dal punto d’osservazione. All’interno della sentenza n. 346/2020, che porta la firma di Giuseppa Cernigliaro (presidente facenti funzioni), i riferimenti alla nomina dei capi dipartimento sono continui e ineccepibili e, una volta disposti sotto una scrupolosa lente d’ingrandimento, rafforzano i dubbi sull’operato del governo Musumeci. Ma anche dei suoi predecessori, dato che nessuno – negli ultimi quindici anni – ha preso la questione sul serio.
Qualche settimana fa, alla vigilia della scadenza delle proroghe (il 15 giugno), il governo regionale ha provveduto alla nomina dei superburocrati mancanti: tutti, ad eccezione del nuovo dirigente generale alla Programmazione, Federico Lasco, facevano già parte dell’amministrazione regionale. Ma non sono dotati dei requisiti previsti dalla legge n.20 del 2003, dove si dispone, come sottolinea anche la Corte dei Conti citando una sentenza del Tar Sicilia risalente al 2014, che “l’incarico di dirigente generale non può essere attribuito ai dirigenti di terza fascia”. “In buona sostanza – spiegano i magistrati contabili – secondo l’articolo 11, comma 4 e 5 della legge regionale n.20 del 2003, l’incarico apicale “è conferito” a dirigenti di prima fascia, nonché a soggetti cd. “esterni” (entro il più elevato limite del 30 per cento, introdotto dal comma 7 dello stesso articolo) e “può essere, altresì, conferito” a dirigenti di seconda fascia in possesso dei requisiti ivi previsti”.
Per farla breve, a capo di un dipartimento regionale – il ruolo più alto e meglio retribuito della pianta organica regionale – possono andare i dirigenti di prima fascia, seguendo una procedura di conferimento ordinaria, o in alternativa dirigenti di seconda fascia o “esterni”, secondo un modello di selezione straordinaria. La Corte dei Conti stabilisce, inoltre, che “le predette modalità di conferimento dell’incarico apicale non sono, tuttavia, collocate sullo stesso piano, nel senso che l’autorità affidante (nel caso di specie “il Presidente della Regione, previa delibera della giunta regionale, su proposta dell’assessore competente”) può instradare il procedimento decisionale nel corridoio che conduce alla nomina di soggetti cd. “esterni” solo a valle di un motivato accertamento dell’insussistenza, all’interno dell’amministrazione, di professionalità adatte allo scopo”.
Se all’interno della pianta organica regionale non ci sono le risorse umane adeguate alla copertura dell’incarico, si può passare a quello che la Corte dei Conti definisce il “secondo segmento procedimentale”. Ossia la selezione di personale “esterno”, seppure “in misura limitata”. Lo spiegano meglio i magistrati: “Appare evidente che il percorso logico che parte, ovviamente, dall’individuazione della posizione da ricoprire deve inderogabilmente proseguire verso la funzionale ricerca, “all’interno” dell’amministrazione, di professionalità idonee allo scopo, per poi eventualmente varcare la soglia della porta – che si apre nel solo caso in cui tale ricerca abbia dato esito negativo – che conduce alla ricerca, questa volta “all’esterno” dell’amministrazione, del soggetto idoneo in possesso dei requisiti” di cui all’articolo 19 comma 6 del decreto legislativo 165 del 2001. E’ questo il secondo limite introdotto dalla normativa: il primo è che la percentuale degli “esterni” in ruoli apicali non possa superare il 30% della posizioni da ricoprire, il secondo è che queste persone debbano avere specifici requisiti.
Occhio a questo punto. Perché è l’unico varco che consente ai dirigenti di “terza fascia”, esclusi a priori, di poter competere per un ruolo da superburocrate, che contempla anche uno stipendio medio di 160 mila euro l’anno. L’articolo 19 comma 6 del decreto legislativo di cui sopra, e successive modifiche, spiega che “tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica”, ma anche a soggetti che si trovano “in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato”. I “soggetti scrutinabili” che si trovano in posizioni funzionali per l’accesso alla dirigenza, come segnalato dalla sentenza della Corte dei Conti, “possono essere sia estranei all’amministrazione conferente, sia inclusi nel ruolo di questa (in posizione ovviamente diversa da quella di dirigente di prima fascia ovvero di seconda fascia), in qualità di appartenenti alla ex carriera direttiva (inclusi, dunque, i cd. Dirigenti di terza fascia)”.
Ciò impone che “i soggetti estranei all’amministrazione conferente e quelli interni alla stessa” siano “collocati sullo stesso piano, essendo accomunati dal fatto di trovarsi tutti in posizioni non utili per il conferimento dell’incarico dirigenziale in via ordinaria”. Ma alla Regione non c’è nulla di ordinario. Come Buttanissima ha scritto anche in passato, Palazzo d’Orleans ha zero dirigenti di prima fascia in organico. E appena sei dirigenti di “seconda fascia”, che a causa dei pensionamenti rimarranno quattro a fine anno. Tutti gli altri sono di “terza”. I freddi numeri, da soli, suggeriscono (ma non impongono) una via alternativa: ossia una procedura straordinaria di conferimento degli incarichi apicali, che tenga conto, però, del limite del 30% fissato dalla legge. Se i dirigenti generali nominati dal presidente della Regione sono 27, per intenderci, potranno essere “esterni” o di “terza fascia” soltanto in nove. E non tutti quanti, come avvenuto all’ultimo giro. Questo, come denunciato più volte dal deputato regionale del Partito Democratico, Nello Dipasquale, apre a profili di “illegittimità” (se non di illiceità) delle nomine. E, di conseguenze, a possibili sbocchi sotto il profilo giudiziario: abuso d’ufficio e danno all’Erario sono le voci più temute.
C’è dell’altro, però. La Corte dei Conti si sofferma, infatti, anche sui criteri del reclutamento esterno. “La scelta del soggetto più adatto per l’affidamento dell’incarico dirigenziale – spiegano i giudici contabili – sarà frutto di una motivata valutazione discrezionale del conferente, come tale non sindacabile – entro il limite della ragionevolezza – da parte del giudice”. E sebbene questo limite (la ragionevolezza) non venga enunciato all’interno del giudizio in esame, emerge fra le righe che la quota del 30% deve essere compatibilità “con la previsione costituzionale secondo cui ‘agli impieghi delle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, tranne i casi stabiliti dalla Legge’ (ossia l’articolo 97, comma 4, della Costituzione)”. In questo caso, più che i concorsi, è bastato un atto di interpello interno. Sottigliezze.
Il problema vero, adesso, riguarda la sfera politica. Il comportamento reiterato dei governi regionali negli ultimi vent’anni – da quando esiste, cioè, la dirigenza di “terza fascia” – potrebbe esporre la Regione siciliana a rischi enormi sotto il profilo contabile. In mancanza di una proposta di legge che regolasse o riscrivesse l’accesso alle posizioni apicali, o di una serie di concorsi interni per consentire agli ex funzionari di poter aspirare al vertice dei dipartimenti, i presidenti di Regione si sono comportati tutti allo stesso modo: cioè, hanno chiuso un occhio. E sono andati avanti, sentenze alla mano, ben consapevoli dei rischi che una condotta simile avrebbe comportato.
Prima della Corte dei Conti, sui dirigenti di “terza fascia” si erano già pronunciati il Commissario dello Stato e la Corte Costituzionale (che aveva dichiarato “cessata la materia del contendere”), ma anche il Tar Sicilia e il Giudice del Lavoro di Palermo, Elvira Majolino. Inoltre, gli ultimi pareri richiesti dalla Regione – al Cga e all’Aran – erano tornati indietro perché irricevibili. C’erano tutti gli strumenti, insomma, per fermare le rotative e avviare una riflessione seria. Invece si è andati avanti, imperterriti. A fornire l’ultimo consiglio non richiesto al governo è il solito Nello Dipasquale: “Musumeci farebbe bene a revocare la delibera con cui ha nominato i direttori generali. Per tutelare se stesso e gli assessori da una eventuale condanna per danno erariale. E non solo quella”.