E’ sempre più difficile fare i conti con gli sbarchi e non cadere in fallo. Matteo Salvini lo sa bene: anche la sua visita in Libia, dall’unica autorità riconosciuta al momento (il premier Serraj) è stata una prova di acrobazia non indifferente. Il Ministro dell’Interno era partito per Tripoli con l’idea di proporre l’apertura di hotspot nell’area a sud del Paese, ma ha ricevuto dalle autorità un rifiuto incondizionato. Così ha provato ad avvitarsi su sé stesso, tirando fuori l’ipotesi – e la pretesa – di proteggere le frontiere esterne di Italia e Libia. Di coordinare insieme l’emergenza, di “rifornire” il governo libico con venti vedette italiane. Di indire una conferenza stampa a settembre in cui Europa e Africa dicano cosa è meglio fare. Un cumulo di proposte che andranno “timbrate” dall’Unione, dall’Onu e chi più ne ha più ne metta.

Nel calderone della vicenda si aggiunge materiale nuovo e non risolutivo. Si sommano le dichiarazioni. Alcune pedanti, alcune innovative e temibili. Come il ghigno salviniano di fronte alla domanda di un cronista, appena tornato in Italia: “Non risponderete agli sos che arriveranno dalle Ong che prelevano migranti nel Mediterraneo?”. “Dovete chiedere a Toninelli – ha replicato il leader della Lega – Se così fosse avrebbe tutto il mio sostegno”. Ognuno si tenga i suoi migranti, è il messaggio. Ma la Libia, da cui spesso i migranti fuggono via, non potrà mai smistare il lavoro come la nostra Guardia Costiera, né ha a disposizione i mezzi della Marina per muoversi di notte, recuperare i disperati e metterli al sicuro. Di fronte ai fatti il peso delle parole scade. E si consuma la credibilità di chi le pronuncia.

Salvini è alla ricerca di un approdo che non si materializza. E’ un po’ come la storia dell’Alexander Maersk, il mercantile danese che è rimasto per quattro giorni al largo di Pozzallo, in attesa che il Viminale concedesse l’ok per l’attracco. Ieri in Sicilia ha piovuto e il maltempo ha reso difficili le condizioni per i 108 migranti a bordo di un cargo che non è pensato, né strutturato per prestare soccorso e assistenza. Così, intorno alla mezzanotte, l’autorizzazione è stata concessa. La nave si è accostata al molo e, per la gioia del sindaco Ammatuna, che aveva predicato sensibilità, quei poveracci hanno toccato terra.

Accantonata la battaglia contro i mercantili, resta la lotta alle ONG. Il destino di Lifeline sembra segnato: i porti italiani restano chiusi. La nave umanitaria rimane in acque maltesi con 224 persone a bordo. La pacchia è finita, il teatrino no. Perché ci sarà qualche Maersk in più e, forse, qualche Aquarius in meno. La voce risuonerà forte e i divieti pure. E in questo perenne aggrovigliarsi si scorge sempre meno umanità.