Sono tanti, troppi gli strascichi che la lite tv tra Bonafede e Di Matteo, domenica scorsa da Giletti, si è lasciata dietro. Una riguarda il diritto, nella sua accezione più profonda: quando è giusto, e quando no, liberare i detenuti per il rischio del contagio (ma soprattutto per la loro condizione di salute), e soprattutto chi si assume la responsabilità di farlo. L’altra, invece, riguarda l’informazione, che negli ultimi giorni ha abusato di dati incerti, parziali, facendo credere a chiunque che il Coronavirus sia la nuova pasqua dei capimafia. Lo spiega bene Giuliano Ferrara, su “Il Foglio”, basando la propria riflessione da un numero: quello dei 376 boss mafiosi che lo scoppio della pandemia ha strappato alla punizione esemplare delle patrie galere. Numero che andrebbe quanto meno ripulito da un serie di tossine di cui molti giornalisti, a tratti più giustizialisti dei grillini, non si preoccupano. Perché “boss mafioso è definizione diversa da manovale della delinquenza. Arresti domiciliari è nozione giuridica diversa da remissione in libertà. Chi è seriamente malato e non in grado di essere accudito in un centro sanitario carcerario è diverso da chi è sano”.

“Gli unici estranei al senso delle diversità e delle distinzioni – sostiene Ferrara – sono i titolisti e i giornalisti di carta stampata e tv che allarmano l’opinione pubblica sulla decarcerazione di 376 boss della mafia, e che ieri ne hanno aggiunti altri 400 e rotti per soprammercato. Il procurato allarme, che è tra l’altro un reato penale, è diventato nel corso del tempo un vizio congenito dell’informazione. Le notizie così escono drogate come avessero sniffato una pista di cocaina o il crack o la metanfetamina”. Un’analisi seria della questione avrebbe fatto emergere altro, come spiega il giornalista de “Il Foglio”: “Poi uno alla radio al mattino sente un cronista giudiziario informato del Corriere o il mafiologo insigne Salvatore Lupo: dicono che i boss non più in custodia in carcere, ma sotto sorveglianza ai domiciliari, sono 3, dico 3. Dicono che il resto sono casi infinitamente minori di delinquenza territoriale mafiosa, e che ogni caso ha una storia a sé, e che di queste storie gli unici giudici in punto di diritto e di fatto sono i giudici di sorveglianza, che sanno e valutano liberamente. Ma la faccenda è ormai fuori controllo, coinvolge la politica, nuovi decreti vuoi di polizia vuoi di riesame, la retroattività, l’invasione di campo tra poteri ma stavolta con il legislativo e l’esecutivo che vogliono dare indicazioni obbligatorie ai togati, entrano in ballo il Parlamento, le mozioni di sfiducia, gli esibizionismi di magistrati d’assalto e le loro liti con un Guardasigilli pasticcione e non meno esibizionista di loro”.

Le conseguenze sono deleterie e il cortocircuito impossibile da disinnescare: “Fioccano le grida disperate dei parenti delle vittime – rileva Ferrara -, si amplificano penosi appelli alla pace fra gentiluomini quando i nomi dei contendenti siano un famoso procuratore antimafia e un ministro grillino, al vertice politico si negoziano i voti, tutto si confonde in un caos orchestrato e ammaestrato dove ciascuno, nel mercato del procurato allarme, è in grado di raccogliere qualcosina per sé. Uno spettacolo disgustoso in cui verità e informazione arrancano dietro ideologia, bassa politica, carrierismi e professionismi deleteri. Era meglio quando ai domiciliari ci stavamo tutti e non si parlava che di epidemiologia”.