Bisognerebbe citarle in rapida sequenza per capire cosa rimane fuori: poco. Facciamo un rapido sunto: viadotto Himera, sull’autostrada Palermo-Catania, crollato il 10 aprile 2015, non ancora ultimato; frana di Letojanni, sulla Messina-Catania, risalente al 5 ottobre 2015, non ancora rimossa; Ragusa-Catania, millantata da almeno 30 anni, mai avviata (ma almeno il progetto è stato approvato); viadotto Morandi, sulla Agrigento-Porto Empedocle, pericolante, chiuso dal 16 marzo 2017; statale 189 Palermo-Agrigento, col viadotto Scorciavacche che durò una settimana, avanti piano; Centrale Sicula, istituita quasi novant’anni fa, da Santo Stefano di Camastra a Gela, in fase di realizzazione. E potremmo metterci la Siracusa-Gela, i lavori del collettore fognario di Palermo, che viaggiano con due anni di ritardo, e dell’anello ferroviario, il cui appalto fu aggiudicato per la prima volta nel 2007, ma a distanza di tredici anni siamo ancora lì che contiamo i giorni. E’ una sovrastruttura di tre chilometri che dovrebbe riunire la stazione Notarbartolo con la zona porto.

E’ questa la Sicilia, e fa specie che a Genova, dopo la tragedia immane della vigilia di Ferragosto, nel 2018, abbiano sollevato diciannove campate in acciaio in pochissimi mesi. Lo hanno fatto con una procedura semplificata, che andrebbe applicata a quasi tutto il tessuto connettivo siciliano, che in queste settimane – coi cantieri chiusi – non ha nemmeno potuto beneficiare della circolazione al lumicino. Il viadotto Polcevera, in Liguria, prende il nome dal progettista Morandi, lo stesso di Agrigento. Ma il ponte che collega la città dei templi a Porto Empedocle (noto come viadotto Akragas) è in una condizione molto diversa rispetto al “cugino”: dal 2015 non ha più avuto pace fra problemi strutturali e piloni che mostrano i segni del tempo (cioè i ferri arrugginiti). Per questo è stato chiuso, poi riaperto a una sola corsia e poi definitivamente sigillato. È previsto un intervento da 30 milioni, forse verso la fine dell’anno. Prima del Covid alcuni operai stavano sistemando l’impalcatura di un pilone, roba da impallidire rispetto ai cantieri mobili della città della Lanterna.

La provincia agrigentina è la più bistrattata in termini di infrastrutture. Il viceministro Giancarlo Cancelleri, durante una visita nel febbraio scorso, disse che la statale 189 Agrigento-Palermo “rappresenta una delle più grandi vergogne del nostro Paese”. La crisi del colosso Cmc, che ha causato ritardi anche sulla direttrice fra Agrigento e Caltanissetta, ha portato a sospendere più volte i lavori. A metà febbraio erano stati assegnati quattro lotti (su sette), per 18 dei 32 chilometri di cui è composto il tratto da Bolognetta a Lercara. Il collegamento vale complessivamente 57 km e un mucchio di soldi (l’importo complessivo del progetto preliminare era di 2 miliardi). Che qualcosa non andasse per il verso giusto si è potuto constatare il 31 dicembre del 2014, quando il viadotto Scorciavacche, sulla Statale 121, collassò sette giorni dopo l’inaugurazione, provocando una mega inchiesta della Procura di Termini Imerese.

Sulla drammatica situazione viaria, è intervenuto ieri il sindaco di Agrigento, Lillo Firetto: “I lavori del nostro viadotto Morandi dovrebbero terminare nel 2021. Per il breve ponte Petrusa che sovrasta la statale 640 tre anni non sono bastati a ultimarlo. Di infrastrutture indispensabili come la Agrigento-Palermo e la Agrigento Caltanissetta col suo raccordo alla A 19 Palermo-Catania non sono bastati 30 anni a garantirne il completamento. Ora non si pensi che la Sicilia possa ripartire a motore spento. La ripartenza dopo questa crisi che sta investendo il Paese sarà ancor più difficile da un territorio che non può contare su infrastrutture minime. Serve – sostiene Firetto – la velocizzazione della rete ferroviaria, servono strade adeguate senza deviazioni e semafori sulla Statale 189 e sulla 115, servono adeguamenti dei porti e dei porticcioli turistici. Non è più possibile un’Italia a due velocità”.

Al netto delle opere lasciate a metà, dei cantieri fantasma, dei processi giudiziari, dei lavoratori in cassa integrazione e, per finire, anche del Covid, la situazione viaria siciliana resta disastrosa. Il viadotto Himera, il più simile al Morandi di Genova per funzionalità e conformazione, è franato cinque anni fa ma non ha ancora riaperto i battenti. A Scillato i lavori sono sempre andati piano, e per effetto della pandemia si sono dovuti ri-fermare, a pochi metri dal traguardo. La consegna dell’opera, prevista a fine aprile, slitterà in estate. E intanto l’A19, il più importante snodo autostradale della Sicilia, resta lacerato. Di recente anche l’instabilità del viadotto Cannatello ha costretto l’Anac a operare una difficoltosa deviazione a Resuttano, impedendo l’accesso ai mezzi pesanti.

Anche la frana di Letojanni, che ha causato disagi e imprevisti nei pressi di Taormina (e soprattutto in estate è un bel problema), è lì da cinque anni. I lavori, dopo inchieste giudiziarie e lungaggini burocratiche, sono stati aggiudicati nell’autunno scorso e procedono a rilento. Solo a febbraio i primi operai si sono arrampicati sui costoni rocciosi e hanno iniziato a fare sul serio. Dovrebbero scavarci sotto un paio di gallerie. Quello della Messina-Catania, sulla A18, è uno dei primi cantieri a rimettersi in marcia dopo la sospensione dettata dal Coronavirus. E ci sarebbe pure la Siracusa-Gela, di cui si occupa il Cas, e che nell’ultimo periodo aveva fatto registrare piccoli segnali di risveglio. Attualmente, sui lotti 6, 7 e 8 fra Rosolini e Modica è in corso la costruzione di quasi venti chilometri di tracciato autostradale. La Ragusa-Catania, invece, non è mai cominciata. Solo qualche settimana fa, dopo un’attesa trentennale, il Cipe ha dato il via libera al progetto – costato 36 milioni – dopo il cambio del soggetto attuatore (dal gruppo Sarc di Bonsignore all’ANAC) e la nomina di Musumeci a commissario dell’opera. La superstrada, per un investimento complessivo di 754 milioni di euro, sarà pagata dallo Stato e non prevede pedaggio. Chissà, però, se quattro o cinque anni basteranno.

Un modo per accelerare tutto ci sarebbe. Più volte, anche in questi ultimi giorni, il presidente della Regione ha chiesto al premier Giuseppe Conte “l’estensione del “modello Ponte Morandi” per le opere pubbliche nell’Isola per i prossimi due anni”, cioè una modifica normativa in materia di appalti come è avvenuto a Genova, con la massima semplificazione delle procedure selettive. Ma chiedere non basta, occorre pretendere.