Per una sera è stato come tornare al lavoro. Senza clienti, ma con l’ebbrezza di risentire il cigolio delle saracinesche che si sollevano, dopo essere rimaste chiuse per troppo tempo. La salute non è uno scherzo, ma si fa sempre più reale il rischio che dopo essere morti di Coronavirus – per fortuna in Sicilia i casi sono stati limitati – si possa morire di fame. L’evento #RisorgiamoItalia, organizzato a livello nazionale da Ho.Re.Ca unita, gli operatori di hotelerie, ristoranti e catering, ha visto un’ampia partecipazione in tutte le città italiane, Palermo compresa.
L’ultima conferenza stampa di Giuseppe Conte, che ha comunicato la riapertura di pub e ristoranti per il primo giugno, ha provocato sconcerto e sconforto. Tutti sono consapevoli che bisogna limitare i casi di contagio, ma una prospettiva temporale così dilatata, arricchita dal mare di precauzioni che occorrerà prendere, non rappresenta certo un orizzonte di rilancio. Facendo una cernita degli operatori palermitani, però, oltre alla smania di poter riaccendere le luci – stavolta senza fare finta – si avverte l’esigenza di un segnale da parte dello Stato. “Non vorremmo che un’apertura frettolosa servisse al governo per lavarsi le mani e non aiutarci”, dice Pietro Salemi, un esercente, a Repubblica. “A Ballarò non potremmo riaprire – gli fa eco Michele Catalano di Ballarak – perché la cucina e i costi maggiori non sarebbero coperti dal numero limitato di clienti che potranno entrare, impossibile recuperare le perdite di questi mesi”.
I costi medi di un pub o un ristorante, fra utenze e affitti, possono arrivare a diecimila euro mensili. Poi ci sono i lavoratori, moltissimi in attesa di cassa integrazione. Gli operatori si attendono un aiuto concreto: non bastano i prestiti, con lunghe file in banca che spesso si risolvono in mille istruttorie e un buco nell’acqua, o lo slittamento dei tributi. Alcuni commercianti, simbolicamente, consegneranno un’enorme chiave rossa al sindaco Leoluca Orlando, che è anche presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani. Un modo per dire che “siamo nelle vostre mani”.
Ieri, per qualche minuto, sono tornate a illuminarsi anche le hall dei cinema. Che in questa quarantena era stati i primi a imporre il distanziamento sociale, ma poi ovviamente hanno dovuto chiudere. E probabilmente saranno gli ultimi a riaprire: “Molti di noi a settembre rischiano di non arrivare – dice a Repubblica Andrea Perìa, che gestisce Ariston e Arlecchino e guida l’associazione di categoria Anec – Le nostre speranze sono il decreto Franceschini e una finanziaria siciliana, che per la prima volta aiuti le 125 sale siciliane come i teatri, con un contributo a fondo perduto. A ognuno di noi mancano incassi per 50-60 mila euro al mese, quando riapriremo le poltrone saranno dimezzate per motivi di sicurezza. O ci aiutano adesso, o scompariremo”.