«Casa nostra era in contrada Duca, al confine con Portella di Mare, verso Misilmeri, si giocava per strada, la campagna e le pendici delle montagne ad un passo, bastava saltare un muretto di cinta… quante corse con i compagni quando si andava a raccogliere i manderini o gli asparagi selvatici e i proprietari dei giardini ci scoprivano e ci inseguivano…». Il divo della lirica che gira per il mondo e canta nei teatri d’opera d’ogni continente ha sempre Villabate nel cuore. «È un paese con una sua identità, un suo orgoglio, i villabatesi sono ospitali, aperti allo scherzo, molto ambiziosi anche. Forse Villabate ha sempre sofferto il fatto d’essere una sorta di prolungamento della grande città, attaccata com’è a Palermo. E come Palermo ha vissuto gli anni orribili della lotta di mafia».
Nicola Alaimo è al Massimo, oggi pomeriggio ha l’ultima recita di «Falstaff», appena si spegneranno gli applausi sulla musica di Verdi, sul direttore Daniel Oren e su tutto il cast, imbarcherà l’auto sulla nave e tornerà a Pesaro dove vive.
In quella metà degli anni Ottanta il ragazzino Alaimo – fino ai 12/13 anni – si formò anche artisticamente a Villabate. Sarebbe stato difficile un destino diverso in una famiglia impastata da prosa e lirica, con uno zio – Simone – che era già una star del belcanto (uscito fuori, all’alba degli anni Settanta, dal concorso “Maria Callas”, quello grazie al quale la Rai scovò giovani talenti come la Ricciarelli, la Gasdia, la Valentini Terrani), con gli zii materni, i Pitarresi, fondatori della Filodrammatica Villabatese («mamma fu anche la Santuzza di Verga in “Cavalleria”»).
«Me le ricordo quelle serate, quelle domeniche pomeriggio dietro le quinte del Cinema Teatro delle Palme, le prove, gli spettacoli, sempre con il tutto esaurito. È stato il mio primo palcoscenico: quando c’era bisogno di un bambino in scena, c’era Nicola a disposizione. Una sera, io ero adolescente, zio Simone, che era già famoso, venne a cantare in paese, al Delle Palme. Mamma affrontò il cognato e gli propose: “Perché non fai cantare tuo nipote Nicola?”. “Troppo giovane, ha solo 13 anni”, le rispose. Però alla fine cedette. “Una furtiva lacrima”, “Core ’ngrato” e poi con lui e altre due artiste feci il Duca di Mantova nel quartetto di “Rigoletto”. Villabate mi battezzò nella lirica».
Da bambino cantava arie d’opera, Nicola, mica le canzoni dello «Zecchino d’oro». «Mio nonno paterno, Nicola anche lui ovviamente, era un patito di Pippo Di Stefano. Sono cresciuto con i suoi dischi, con la sua voce nelle orecchie. Così i vicini di casa di contrada Duca non si stupivano affatto che a tre o quattro anni cantassi già arie d’opera».
Il Delle Palme è in restauro da tempo, prima o poi dovrebbe essere nuovamente inaugurato. Ci tornerebbe a cantare, Nicola? «Di corsa, mi facciano sapere in anticipo quando: sono state le prime assi di legno che ho calcato, la prima platea che mi sono trovato davanti, i primi riflettori che ho visto puntati su di me». Magari ci tornerebbe con zio Simone (che oggi ha 74 anni e che solo due anni fa ha chiuso la carriera con il suo cavallo di battaglia, il Mustafà dell’«Italiana in Algeri» rossiniana di cui ha collezionato oltre 700 recite): «Sarebbe un onore, come sempre, duettare con lui, e ancora più emozionante nel teatro del nostro paese».
E al Massimo quando tornerà, Nicola Alaimo? «Probabilmente Giambrone mi sgriderà se anticipo che dovrei esserci tra gennaio e febbraio del 2021 con “Don Pasquale” di Donizetti, in un allestimento di Damiano Michieletto coprodotto dal Covent Garden di Londra, l’Opèra di Parigi e dallo stesso Massimo con la direzione di Michele Spotti che è un giovanissimo talento del podio con i suoi 26 anni».
Prossimamente invece? «Mi aspettano due Rossini: dal 18 marzo, al Comunale di Bologna, sono Dandini nella “Cenerentola” con la regia di Emma Dante, poi il 4 aprile volo a Vienna alla Staatsoper per fare Mustafà nell’“Italiana un Algeri”. Rimango in Austria e canto a Salisburgo, al Festival di Pentecoste, nel “Don Pasquale” con Cecilia Bartoli (che riprenderò in estate) e poi a Madrid, al Teatro Real, sarò Giorgio Germont in “Traviata”. Tra ottobre e dicembre, parentesi americana a Chicago per “Attila” ed “Elisir d’amore”». Niente riposo? «Che nessuno mi tolga il mare, d’estate. Niente mete esotiche, beninteso. Un paio di settimane tra Altavilla e Casteldaccia, vicinissimo a Villabate».