Alla Regione non girano troppi soldi. Ma spesso accade che quei pochi non si riesca a spenderli. E’ il caso dei dodici milioni e mezzo inseriti nel Patto per il Sud, deliberato dal governo Crocetta nel 2017, e destinati a progetti inerenti la valorizzazione dei beni culturali. Ad esempio il consolidamento del Castello Svevo di Augusta (per 5 milioni di euro), la musealizzazione e fruizione di un sommergibile di fronte al Museo del Mare di Palermo (per quasi due milioni), la riqualificazione di palazzo Abatellis a Palermo (920 mila euro), e, ancora, la promozione del patrimonio sottomarino delle Eolie (circa 850 mila euro). Iniziative rimaste sulla carta e morte per l’assenza di un progetto esecutivo. La conclusione è stata quasi naturale: meglio prendere quelle somme e spostarle altrove. Il governo Musumeci, ad esempio, ha scelto di destinarle ai teatri siciliani, individuando una lunga sfilza di interventi (166 per l’esattezza).
Lo ha deciso la giunta. Ma è stata la commissione Bilancio, qualche giorno fa, ad avallare l’intuizione. E prima ancora ci aveva pensato il capo del dipartimento ai Beni culturali, Sergio Alessandro, a implorare il governo di fare qualcosa di diverso, viste “le criticità di natura tecnico-progettuale” di alcuni interventi, che pertanto andavano esclusi dai finanziamenti. Escono dalla porta e rientrano dal portone 27 milioni di euro complessivi. I dodici e mezzo di cui sopra, più 10,7 derivanti dal Po-Fesr (fondo europeo per lo sviluppo regionale) che avrebbero dovuto migliorare il parco di Selinunte, il teatro antico di Tindari, i templi Santoni di Palazzo Acreide, solo per citarne alcuni. Nel computo totale vanno inseriti gli ultimi 4 milioni riconducibili al parco archeologico di Agrigento. Anche Matteo Renzi, sottoscrittore del patto con Crocetta alla Valle dei Templi (nel settembre 2016), nella sua ultima apparizione siciliana aveva chiesto a Musumeci di spendere i soldi a disposizione dell’Isola prima di chiederne altri.
La rimodulazione ha assegnato i finanziamenti ad enti e associazioni, talvolta a Comuni o a privati, che dovranno utilizzarli per scopi nobili, almeno sulla carta: dai lavori d’innovazione tecnologica al teatro Biondo di Palermo, passando per l’efficientamento energetico del Teatro Massimo, sempre nella città capoluogo, e del cinema Ideal di Lercara Friddi. Tra gli interventi indicati, c’è pure il restauro del foyer del teatro Regina Margherita di Caltanissetta e la rinascita di alcuni piccoli stabili, come quello di Donnalucata, in provincia di Ragusa. Ma non tutti, nel governo, hanno concordato su questa scelta. Anzi.
Marianna Caronia, deputata palermitana della Lega, ha voluto mettersi di traverso. Astenendosi dal voto. E dando prova di un atteggiamento – quello del Carroccio – che da qualche settimana a questa parte non è affatto morbido con Musumeci e il suo governo. Il capogruppo Catalfamo aveva avuto da ridire sul metodo applicato all’esercizio provvisorio e lo stesso Catalfamo, in tandem col forzista Calderone, nei giorni scorsi si è scagliato contro l’assessore alla Salute Ruggero Razza per i tagli (paventati) all’Asp di Messina. Anche la Caronia, con l’opposizione in un angolino a osservare la scena, ha sollevato il problema e promesso un’interpellanza urgente: “Siamo tornati ai tempi in cui la Regione utilizzava fondi destinati allo sviluppo infrastrutturale per finanziare a pioggia centinaia di enti e attività senza alcun controllo di qualità – ha attaccato la deputata -. E mi permetto di aggiungere che in questo caso ci sono alcuni evidenti e gravi svarioni che non possono non far saltare sulla sedia e chiedere un urgente approfondimento da parte degli uffici competenti”.
Il dubbio è sempre il solito: che si tratti delle solite mancette per far felice qualche deputato? La Caronia su questo sembra avere pochi dubbi: “Come giustificare la presenza fra i beneficiari di Enti che hanno cessato l’attività o altri del tutto sconosciuti che non sembrano svolgere attività culturali tali da giustificare elargizioni da centinaia di migliaia di euro?”. La rappresentante del Carroccio, che due anni e mezzo fa era stata eletta con Forza Italia, poi s’è scagliata su Musumeci, evidenziando un problema (anche) politico: “Dopo anni dalla sottoscrizione del Patto fra Governo regionale e governo nazionale – afferma – leggiamo ancora che ci sono decine di progetti privi di progettazione. Dove è quel cambiamento più volte promesso e sbandierato dal Presidente Musumeci? Come nel passato, siamo tornati a riempire i capitoli di spesa dei fondi extraregionali con provvedimenti last-minute, molti dei quali di dubbia utilità e persino di dubbia legittimità”.
I soldi che girano non si spendono. E talvolta, come per magia, scompaiono e riappaiono. L’emblema è il piano per il Sud, presentato a Gioia Tauro dal premier Giuseppe Conte e dal Ministro per il Mezzogiorno, Peppe Provenzano. Il capitolo Sicilia, rimpinguato con 30 miliardi per i prossimi dieci anni (5 nel primo triennio), prevede la realizzazione di clamorose “incompiute”: dalla Ragusa-Catania al raddoppio ferroviario della Messina-Catania, nel tratto tra Fiumefreddo e Giampilieri. La prima dal valore di 754 milioni di euro, che il governo nazionale è riuscito a reperire in extremis, dopo aver cambiato il soggetto attuatore dell’opera (dalla Sarc dell’ex onorevole Bonsignore all’Anas); la seconda vale oltre due miliardi. Ma, per l’assessore regionale alle Infrastrutture, Marco Falcone, non è affatto una sorpresa: “Fra le misure annunciate dal Governo nazionale – ha detto – ci sono due grandi opere che riguardano la Sicilia: la statale Catania-Ragusa e il raddoppio ferroviario della linea Messina-Catania, fra Giampilieri e Fiumefreddo. Nulla di nuovo”.
“Riguardo la Catania-Ragusa – ha aggiunto Falcone, togliendo suspance e depennando gli effetti speciali – vorremmo ricordare che l’opera, dopo un lungo tira e molla con Roma, è stata resa possibile dall’impegno del Governo Musumeci a mettere sul tavolo oltre 620 milioni di euro, necessari per sbloccare la strategica e tanto attesa arteria stradale. Il raddoppio Giampilieri-Fiumefreddo, invece, è un’opera concepita e avviata durante il Governo Berlusconi, grazie a uno stanziamento compiuto allora di 2,3 miliardi di euro. Poi, dopo quegli anni, il raddoppio è stato messo da parte. Solo di recente, grazie alla risoluta azione di pressing e approfondimento del Governo Musumeci, l’iter di appaltabilità del raddoppio è progressivamente andato avanti. Tanto che entro giugno procederemo alla pubblicazione del bando di gara”. “La Sicilia e l’intero Mezzogiorno – conclude Falcone – chiedono a gran voce non solo fondi per le infrastrutture, ma anche e soprattutto norme che snelliscano i complicati iter procedurali per realizzare un’opera così come sta avvenendo, ad esempio, per la ricostruzione del ponte di Genova. È arrivato il momento che ciascuno faccia la propria parte”.
E qui subentra un’altra questione. Più che finanziamenti a pioggia che non si riesce nemmeno a utilizzare – come nel caso dei 27 milioni per i beni culturali – l’Isola ha bisogno di snellire le procedure burocratiche che stanno alla base delle lungaggini. Una di esse l’ha rappresentata in questi giorni l’Anas, e riguarda il solito viadotto Himera, che sarà completato (a quanto pare) entro l’inizio di maggio. Cinque anni dopo che una frana l’ha devastato. A chi ha paragonato i lavori sulla A19 Palermo-Catania a quelli del ponte Morandi di Genova, dove la ricostruzione procede in tempi record, l’azienda di Stato ha riposto più o meno così: “Il cantiere in Liguria ha potuto beneficiare di deroghe alle normali procedure – ha comunicato Anas – mentre quello sull’autostrada A19 ha invece seguito le procedure ordinarie, secondo il quadro di riferimento normativo vigente”. Che non basta. Non per la Sicilia. Grazie dei soldi, ma serve qualcos’altro.