La Sicilia che guarda al Tremila (se avanti o dopo Cristo lo vedremo) ha la faccia di uomini e donne di Petralia Soprana che all’inviato de La vita in diretta raccontano soddisfatti del ballo della cordella (fu il mio primo servizio lungo sul Giornale di Sicilia, trent’anni fa, fate un po’ voi) mentre il cameraman riprende le femmine intente a fare l’uncinetto sedute in piazza, che tu guardi la tv e pensi: ma sul serio?

Poche realtà come quella siciliana hanno la condanna di essere rappresentate sempre uguali a se stesse, come se il gentile pubblico da casa ci volesse sempre così, stereotipati e imbalsamati dietro alle nostre finestre socchiuse, alle nostre mezze frasi, questa stucchevolezza vagamente gattopardesca come se il tempo corresse dovunque tranne che qui.

Conosco le Madonie e le Petralie, davvero non c’è niente di meglio (e di nuovo) da dare in pasto agli amici di Raiuno alla perenne ricerca di emozioni forti? Ancora col ballo della cordella? Ancora le donne che fanno l’uncinetto a favore di telecamera? Perché l’entusiasmo immotivato per questa rappresentazione fuori giri, come se la macchina del tempo ci avesse catapultati, in un caldo giorno di giugno, all’era della fionda?

Va bene le tradizioni, ma è da pericolosi sovversivi sperare che un giorno saremo in grado di guardare un po’ oltre il nostro naso? Così, per il gusto di sentirci cittadini del nostro tempo e meno prigionieri di un passato superato dalle cose e dalla vita.