Fotografo lo è e lo è per certo sulla carta d’identità. Solo che, alla fine di un botta e risposta, alla domanda “chi è Pucci Scafidi?” non risponde nel modo più immediato. “Sono una persona follemente innamorata della propria terra che sfrutta la sua sensibilità per portare il bello della Sicilia in giro per il mondo”. Si chiama Pucci Scafidi, è un fotografo anche se ciò che è sta stretto in un’unica parola, e all’attivo ha sedici libri e una generazione alle spalle che proprio dell’immagine ha fatto il suo mantra. “Sono un fotografo è vero. Ma sento che voglio dare molto di più a quest’isola attraverso il mio contributo. Direi semmai che per me il modo più naturale è farlo attraverso la fotografia”.
Figlio d’arte, volto della terza generazione di una famiglia che ha avuto la possibilità di immortalare Palermo con una continuità storica senza precedenti, oggi è riuscito a creare una sua fortissima identità al di là dei successi del passato. Gli Scafidi, prima Giusto, poi Nicola, hanno infatti catturato angoli e volti inediti di una città in progressivo fermento. Dalla Bella Epoque in bianco e nero agli anni rossi delle stragi fino ad oggi in cui Pucci abbandona le orme del reportage, della cronaca che ha portato in alto la sua famiglia, e raccoglie un testimone fatto di tecnica, talento ed emozioni restituendolo ad una pellicola che non ha bisogno di orpelli. Tanti i progetti di oggi, l’ultimo in cantiere è “Fimmina” che parla della Sicilia attraverso la sublimazione della donna.
Dopo anni al fianco del padre sulle orme della fotografia documentaristica – sua la copertina de L’Espresso che immortala l’omicidio di Salvo Lima a Mondello -, Pucci comprende che è al bello e alle sue sfumature che vuole volgere il suo obiettivo. “Era il 1999 quando decisi che era arrivato il momento di camminare da solo – spiega Scafidi -. Mio padre voleva fare di me un commercialista. Io gli risposi che se mi avesse tagliato un braccio, non sarebbe fuoriuscito altro che non fosse fotografia”. Una passione la sua che si è trasformato in un mestiere che è sintesi di tutto. “È famiglia, è passione, è estetica, ma è anche un impegno sociale e, perché no, divertimento”.
Dal reportage al reportage. Perché ha soltanto cambiato lente alla sua macchina fotografica. Ha semplicemente mollato la ‘cruda’ realtà per approdare verso i lidi della ‘bella’ realtà. Come rappresentato appieno dal suo ultimo libro, ‘Sua altezza Palermo’. “È il sedicesimo libro nonché il secondo dedicato alla mia città. Il primo me lo aveva commissionato Hermès. Fotografare la mia città dall’alto in un bel periodo storico, dopo anni di paralisi, mi fa pensare ad una barca a vela. Quando è sotto vento non naviga, e Palermo non ha navigato. Dopo 70 anni però abbiamo passato la boa beneficiando del vento in poppa. E oggi possiamo dirlo a gran voce: la città si sta riappropriando sempre più della sua identità”.
Uno dei lavori di cui va più fiero è quello realizzato alla prima ballerina dell’Opera di Parigi. Era il 2001 quando Eleonora Bagnato entrò nell’olimpo della danza mondiale. In quell’occasione Pucci la considerò come il trait d’union tra il capoluogo siciliano e la capitale francese. “Il Massimo dell’Opera lo chiamai – racconta ancora -. Il massimo era lei, per la sua carica, ma era anche il grande teatro lirico che ospitava quegli scatti, grande teatro come lo straordinario l’Opera de Paris che l’aveva nominata prima ballerina. Una catena di parallelismi che mi permise di legare due grandi città per sempre attraverso la fotografia”. In quell’occasione non servì una camera oscura ma solo il grande talento di un artista.