Gli autonomisti di Sicilia esistono ancora. Ieri si sono visti a Enna per una reunion che ha tanto il sapore dell’operazione nostalgia. Anche se al banco dei relatori erano presenti sindaci, assessori e consiglieri comunali. L’anima “civile” dell’esercito lombardiano, che negli anni ha perso la sua verve. Un incontro del tutto simile era avvenuto all’Università Kore nel dicembre 2018 (fra gli ospiti c’era anche Musumeci), ma da quel momento non venne fatto un solo passo avanti. Perché in realtà gli autonomisti faticano a riconoscersi senza la leadership carismatica (e burbera) dell’ex governatore di Grammichele. Una presenza ingombrante, ma sempre meno percettibile.
Ieri, infatti, Lombardo ha marcato visita. Il più alto rappresentante istituzionale in sala era l’assessore regionale alla Famiglia, Antonio Scavone, oltre a qualche deputato regionale (Compagnone, Pullara e il vice-presidente dell’Ars Di Mauro). Si è parlato tanto di fiscalità di vantaggio – la risposta siciliana all’autonomia differenziata delle tre regioni del Nord – di gap infrastrutturale, della crisi dell’agricoltura. Temi vecchi almeno quanto gli autonomisti, che in questa Regione hanno governato e avuto un peso, ma hanno fallito la mission: rendere virtuosa l’insularità.
Oggi provano a riemergere da un quadro regionale che li ha confinati a un ruolo di terzo piano. Fanno i voti a un Dio che nemmeno si palesa – Lombardo – e che ha più volte rifiutato un ritorno al demos e all’attività politica. Che anziché spargere il seme dell’autonomismo in tutto il territorio siciliano, si accontenta di coltivare il proprio orticello finché qualcuno (la deputazione regionale) sarà in grado di trascinare il carro. Ma lo spirito di “questo” Lombardo, quasi arrendevole e fatalista, rischia di contagiare chi nell’autonomia ci ha creduto per davvero, e oggi si ritrova risucchiato in uno scenario sempre più sovranista e filo-salviniano. I tempi sono cambiati anche in Sicilia, checché ne dica il Gattopardo.