Chissà cosa farà Francesco Messineo ora che è scaduto l’incarico di commissario del Comune di Trapani. La città ha un nuovo sindaco, eletto domenica scorsa. L’esperienza di un ex magistrato – Messineo, oggi in pensione, è stato procuratore della Repubblica di Palermo – è di quelle tornano spesso utili in una terra che non può fare a meno delle toghe. Gli esempi confermano una tendenza consolidata. Gioacchino Natoli, ex presidente della Corte d’appello di Palermo e del Tribunale di Marsala, pochi giorni fa è stato chiamato dal governo Musumeci per commissariare la Camera di commercio di Caltanissetta “orfana” del suo presidente, Antonello Montante, finito nei guai giudiziari.

Persona preparata Natoli, ci mancherebbe. L’esperienza marsalese divenne esempio a livello nazionale. E poi vuoi mettere le garanzie che offre un ex magistrato al posto di un indagato. Chi potrà mai nicchiare di fronte a una scelta improntata sulla legalità. Già, la legalità, il faro che tutto orienta. La legalità che portò, altro esempio, Luigi Croce, ex magistrato pure lui, nel consiglio di amministrazione di Villa Santa Teresa, la clinica di Bagheria confiscata a Michele Aiello, re della sanità privata legatissimo a Bernardo Provenzano.

E che dire di Antonio Ingroia che il governatore Rosario Crocetta, campione dell’antimafia, volle alla guida di Sicilia e-servizi, ma anche della Provincia di Trapani. Un ex magistrato commissario nella terra che più mafiosa non si può per avere dato i natali a Matteo Messina Denaro. Il richiamo al latitante arrivò puntuale nelle parole con cui Crocetta spiegava urbi et orbi perché avesse scelto l’ex procuratore aggiunto di Palermo. “L’ho messo nel territorio del boss latitante Matteo Messina Denaro un segnale importante per la lotta alla mafia”.

Ingroia fa parte di una ricca filiera. È stato l’irrefrenabile bisogno della politica di sentirsi al sicuro che ha portato, ad esempio, Pietro Grasso fino alla presidenza del Senato. Che dire dell’altrettanto irrefrenabile corsa ad apparire “meglio di ciò che si è” sfruttando la faccia altrui. Una sindrome che ha colpito tanti governatori siciliani, i quali hanno scelto magistrati come assessori. L’elenco si fa lungo: Massimo Russo Caterina Chinnici, Nicolò Marino, Vania Contrafatto. Contava la toga che avevano indossato prima ancora delle loro capacità che in alcuni casi è stata poi loro riconosciuta. La politica ha volentieri fatto un passo indietro di fronte allo spot di un magistrato al servizio della collettività.

Il presente ci regala una nuova declinazione della sindrome: la politica non aspetta altro che premiare i magistrati per i meriti ottenuti sul campo. Come Antonino Di Matteo, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e pm del processo Trattativa, che i grillini avrebbero voluto alla guida di un ministero e al quale oggi viene accostato il ruolo di futuro capo dell’amministrazione della Giustizia. Magari non avverrà a questo giro, ma il premio prima o poi arriverà perché un magistrato come un diamante è per sempre. Nel frattempo bisogna dimostrare di essere molto più di un semplice magistrato. Come? Interviste, dibattiti, libri, comparsate televisive. Tutto fa brodo.