Patrizia Monterosso ha l’aria soddisfatta di chi si appresta a chiudere un anno zeppo di record. La Fondazione Federico II saluta il 2019 con oltre 800 mila visitatori alla Cappella Palatina e con due mostre all’interno di palazzo dei Normanni. La direttrice ci mostra i due totem – di “Castrum Superius” e “O’Tama. Migrazioni di stili” – che svettano a piazza del Parlamento, a poche decine di metri dal palco allestito per l’ultimo cameo di dicembre: la sonata siciliana con Red Ronnie e Massimo Minutella. Sembra uno spettacolo, ma scavando sotto la superficie di flauti, arrangiamenti e alberi luccicanti, si trova dell’altro: “Forse richiede meno preparativi rispetto ai tempi di una mostra, ma anche questo è un momento di grande cultura – ci anticipa la Monterosso – E’ uno spettacolo che riprende la tradizione dei canti siciliani, con grandi artisti e musicisti di qualità, con il volto di Red Ronnie e quello di Massimo Minutella che rappresenta la nostra Palermo. E’ un appuntamento che richiede un’attenzione e un impegno altrettanto forti perché occupiamo uno spazio comune, in mezzo a persone che magari non ci conoscono”.
E’ ormai appurato che la Fondazione Federico II non si prende cura soltanto del palazzo Reale. Ma anche di quello che c’è fuori.
“Esatto. E’ la conferma di un lavoro fatto per il territorio, in una piazza che diventa ogni volta di più luogo d’incontro”.
Come nasce la “Sonata di Natale” a piazza del Parlamento?
“Esattamente come è nato “Inside Out: Restiamo umani”, un paio di anni fa, o “Acqua passata¿”, un momento di incontro e lutto collettivo per una commemorazione importante, come quello della tragedia di Lampedusa. Questo palazzo, questa storia, questa cultura e questa piazza sono di tutta la città e di tutta la gente del mondo. Stasera un po’ più dei palermitani, che spesso sono stati esclusi da un percorso d’eccellenza e di bellezza rappresentato dal Palazzo Reale, che veniva visitato soprattutto da turisti”.
Cosa rappresenta la musica popolare siciliana per questa terra?
“Questo è il luogo in cui nasce la scuola poetica siciliana, e il siciliano diventa lingua d’eccellenza. E questo andava ricordato a tutti attraverso un’arte che è la musica. Abbiamo organizzato la sonata sperando fosse un momento di festa, perché ce ne sono sempre di più rari nel mondo”.
Di recente la Fondazione Federico II ha avviato una collaborazione con il Teatro Biondo. Avete partorito insieme una serata dedicata a Sciascia. Questa collaborazione avrà sviluppi?
“Il Biondo è il teatro della città. L’omaggio a Sciascia è sentito e non retorico. Molti personaggi hanno riflettuto in modo doloroso sulla Sicilia, ricavandone però un contraltare: cioè, l’hanno fatta risplendere. In questo c’è una lotta che deve accomunarci tutti. Bisognava far rivivere Sciascia attraverso chi le parole può farle risuonare, rendendo la riflessione emozione, un pungolo per il cervello. Il Teatro Biondo e Pamela Villoresi lo hanno fatto in maniera emblematica. Come siamo soliti fare noi, quando si lavora insieme non ci si lascia più. Speriamo valga anche stavolta”.
Da poche settimane avete inaugurato la mostra su O’Tama, artista giapponese che ha influenzato Palermo avendoci vissuto per 51 anni. Come sta andando?
“Sta andando benissimo, si è rivelata una sorpresa. Non immaginavamo la reazione che avrebbe avuto il fruitore dinnanzi a questa forma di esterofilia, che in realtà per oltre cinquant’anni è stata un tutt’uno con Palermo. La gente è stata sensibile, accorta, attenta. Ha voluto capire, sapere e oggi ne parla come se fosse una parte della propria storia”.
E Castrum Superius? C’è tempo fino al 10 gennaio per visitarla.
“Castrum è una cosa esagerata, incredibile. Abbiamo avuto 480 mila visitatori, numeri difficili da credere. E invece sono veri. E’ un record straordinario: non vuol dire soltanto che la mostra va alla grande, ma che è diventata un polo d’attrazione perché racconta la storia, in modo preciso e puntuale, della cappella palatina e di un palazzo che poggia su fondamenta puniche. Veniamo ripagati di un lavoro incredibile che non richiedeva non solo attenzione, ma anche meticolosità”.
In definitiva, che anno è stato per la fondazione? Sarà difficile ripetersi a questi livelli?
“A me hanno dato un incarico: non di fare vino buono ogni tanto, ma di produrlo ogni anno. Ogni anno fa storia a sé, non posso dire che sia stato migliore del precedente. E’ un cammino che ha un filo conduttore, e lo abbiamo percorso al massimo delle nostre possibilità. Questo è uno scotto che devono pagare le persone che lavorano con me, che lo hanno fatto anche stasera, con il sciarpa e il cappellino di lana in testa”.