Un altro anno di “leggine” è alle spalle. Il 2019 dell’Ars si è sviluppato sul crinale dell’incertezza. Delle riforme annunciate e mai votate. Alcune, nemmeno portate in aula. Palazzo dei Normanni, che non gode di salute in quanto a numeri – la maggioranza è spuntata e le opposizioni, dopo la nascita del governo giallorosso, hanno cominciato a remare insieme – ha salutato un’infinita sessione di Bilancio, che ha portato con sé, a più riprese, l’approvazione di documenti contabili: a partire dalla Legge di Stabilità, nello scorso febbraio, passando per un trittico di “collegati”, poi decapitati dalle impugnative del Consiglio dei Ministri. Ma l’aula non si è mai espressa sulle riforme più ambite. Una, forse due, di un certo peso, si sono palesate a Sala d’Ercole. Quella sui vitalizi e quella sui rifiuti.

I vitalizi, tema che il Movimento 5 Stelle ha posto a lungo al centro del dibattito, sono stati “sforbiciati” a tempo (per cinque anni) e con i criteri individuati dal mega asse parlamentare ad esclusione dei grillini: quello composto da Forza Italia, dal Pd (Antonello Cracolici è stato il primo firmatario), da Diventerà Bellissima e dai centristi. Prevede un taglio dal 9 al 19% sugli stipendi degli ex parlamentari e il mantenimento dell’assegno di reversibilità ai parenti di quelli passati a miglior vita. Per un’incidenza sui costi dell’assemblea di poco superiore al milione e mezzo l’anno. Il M5s, che aveva prospettato un risparmio di gran lunga superiore (fino a 9 milioni) ha inchiodato il resto del parlamento alle proprie responsabilità e al momento della votazione i grillini hanno tentato di estrarre i tesserini parlamentari per far cadere il numero legale. Ma la frittata, ormai, era fatta.

Sempre il Movimento, stavolta con la complicità del Pd, ha stoppato invece la riforma più ambita dal governo: quella sulla governance dei rifiuti. Fondamentale per Musumeci & friends, inutile per le opposizioni. La bocciatura dell’articolo 1, dopo un lungo tira e molla nelle commissioni di merito e in aula, ha mandato il presidente della Regione su tutte le furie, tant’è che al termine della seduta del 6 novembre ha deciso di ritirare il governo sull’Aventino fin quando il parlamento non avrebbe provveduto alla modifica del regolamento e alla cancellazione (o modifica) del voto segreto. Musumeci e la sua riforma sono stati impallinati dai franchi tiratori, risultati decisivi nell’urna: l’articolo 1, infatti è stato bocciato con 30 voti contrari e 29 favorevoli. In effetti, da quel momento, la riforma non ha più messo piede a Sala d’Ercole. Mentre qualche membro del governo s’è visto: su tutti Toto Cordaro, che gestisce la delega “informale” dei rapporti con l’Assemblea.

E proprio Toto Cordaro, nel nulla cosmico di quest’annata stregata, ha portato a casa una riformina accettabile: quella che proroga le concessioni demaniali agli stabilimenti balneari fino al 2033, recependo una norma nazionale fatta dai Cinque Stelle e che i Cinque Stelle di Palermo, però, hanno osteggiato. Mentre fra gli ultimi disegni di legge fatti approvare dal governo, ci sono l’istituzione delle zone franche montane (ma è una legge-voto e deciderà il Parlamento nazionale) e quella relativa all’istituzione di un osservatorio sulla sicurezza degli operatori sanitari, il cui relatore è l’onorevole De Domenico, del Pd. Lo stesso che ha mandato in porto una legge di riordino dell’assistenza pediatrica. Roba importante, per carità. Ma nulla di trascendentale.

Un altro assessore ad aver parzialmente vinto le sue battaglie è Roberto Lagalla (Istruzione e Formazione professionale): che a giugno è riuscito a far approvare la legge sul diritto allo studio, grazie al quale la Sicilia riduce il gap normativo con le altre regioni e consente agli studenti – parole sue – un migliore accesso ai servizi, prima negato. Anche se il contenuto della riforma, in attesa che venga attuata, parla di Consulta regionale per il diritto allo studio, dell’Anagrafe scolastica regionale degli studenti, di generici interventi per il trasporto scolastico, borse di studio, potenziamento linguistico, prestito d’onore per studenti universitari meritevoli, e via discorrendo. “Ma senza coperture finanziarie non vale nulla” ebbe da ridire il solito grillino capriccioso (Giovanni Di Caro, in questo caso), comunicando l’astensione del gruppo.

Un mesetto fa, invece, l’Assemblea ha dato il via libera alla riforma della Formazione professionale – un settore che in Sicilia fa rima con scandalo –, che era ferma a una legge del ’76. Decisivo l’apporto della quinta commissione, guidata dall’ex dem Luca Sammartino. Appena sei emendamenti al testo, che in aula ha fatto l’en plein. I nuovi formatori dovranno essere laureati per legge, subentra qualche modifica dei requisiti d’accesso all’albo e la necessità di partecipare a corsi d’aggiornamento ogni triennio, come accade per i giornalisti. Non dice nulla sui precari rimasti a spasso dal 2010, quando si sono chiusi i rubinetti della Regione. Anzi, con la modifica della legge perdono pure il diritto – mai esercitato – del ricollocamento in caso di fallimento dell’ente formatore. Infine, un unico dipartimento viene spacchettato in due – Istruzione e Formazione, appunto – con 200 mila euro accantonati per la creazione di un nuovo dirigente generale.

Il 5 giugno, con 60 voti a favore e nessun astenuto, l’Ars aveva approvato pure la nuova legge sulla pesca (“Norme per la salvaguardia della cultura e delle identità marine e per la promozione dell’economia del mare. Disciplina della pesa mediterranea in Sicilia”), che fa il paio con quella approvata a fine maggio sui marina resort, ossia le “strutture turistico-ricettive ricettive all’aperto, organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all’interno delle unità da diporto”, che necessita di un nuovo regolamento di competenza della giunta. Ma niente che possa consentire alla Sicilia di smettere di galleggiare. Così come non glielo permetteranno la nascita della prima Consulta giovanile regionale in seno all’Ars (proposta della grillina Elena Pagana), la legge che semplifica i procedimenti amministrativi (Micciché e Musumeci, però, non hanno mai smesso di lamentarsi di lacci e lacciuoli della burocrazia), o quella che regola i confini dei comuni di Agrigento, Favara e Aragona.

In attesa di tornare a deliberare sui documenti contabili, l’Ars ha approvato anche un’altra legge-voto – l’ultima parola spetta a Camera e Senato – sull’incompatibilità a ricevere incarichi di vertice nelle partecipate per chi è stato destinatario di condanne per reati contro la pubblica amministrazione; e una legge per il sostegno delle donne affette da endometriosi, che prevede la creazione dell’ennesimo osservatorio. Mentre l’unica riforma degna di nota è quella sulle semplificazioni amministrative nel settore dei Beni culturali, approvata sull’onda emotiva della scomparsa dell’assessore Tusa, che adegua la Sicilia al resto del Paese in termini di autorizzazioni da parte degli uffici di tutela del dipartimento. Con la Finanziaria – ma qui siamo nel campo delle invenzioni, più che delle riforme – è stata creata anche un’Orchestra del Mediterraneo a “costo zero”, di cui però non si parla ormai da mesi. Forse è affondata con il resto della Sicilia.