Nel caos politico di questi giorni, fra un #chiudiamoiporti e l’altro, rischiamo di esserci persi alcuni passaggi cruciali per il futuro dell’Isola. Uno di questi lo ha rammentato il sindaco di Termini Imerese, Francesco Giunta, che un paio di giorni fa, recandosi a Roma presso il Mise (il Ministero dello Sviluppo Economico) ha notato un’assenza eccellente: trattasi di Luigi Di Maio, reggente del dicastero e vice-premier. Non che Di Maio fosse obbligato a fare gli onori di casa. Ma al tavolo della discussione c’era un tema di straordinaria importanza per centinaia di lavoratori Blutec (a regime sarebbero 694): ossia il nuovo piano industriale presentato dalla società per la riattivazione dell’ex stabilimento della Fiat. Il vecchio progetto non ha superato l’esame di Invitalia, così era necessario valutarne un altro. Il superministro, però, ha dato buca. Basta fare due più due per scoprirne il motivo: in quelle ore stava con Salvini e Conte e decidere il quadro di sottosegretari e vice-ministri.
Sebbene Di Maio abbia sempre – a parole – rifiutato l’idea di un manuale Cencelli applicato al governo del cambiamento, la sua assenza si è fatta notare. Tanto che il povero Giunta ha allargato le braccia e inghiottito il rospo: “E’ un segnale di scarsa attenzione verso il Sud e a tutte le problematiche ad esso connesse”. Di Maio, volendo, potrebbe rispondere con una classica argomentazione “populista”. E mostrare qualcuna delle foto scattate mercoledì scorso, dopo il giuramento, quando si recò a Nola in fretta e furia per fare visita in ospedale a un dipendente Fiat, che era stato licenziato e aveva tentato di darsi fuoco. Ma è un esempio che non reggerebbe. Giacché l’attenzione di un ministro del Lavoro e dello Sviluppo deve sempre rimanere alta, qualunque sia la fase politica del Paese. Dal vice-premier, però, non una parola di scuse. Né un tentativo di giustificarsi. Non c’era e basta. E’ una delle vette più alte del silenzio a Cinque Stelle, che anche in Sicilia consegna al popolo dei grillini un Movimento meno spregiudicato e pimpante di prima. Prendete quanto avvenuto negli ultimi giorni.
Domenica nelle urne si è consumato un evidente passo indietro a livello di consensi. Tutto il bene delle Politiche (i 28 collegi uninominali si erano colorati di giallo) e l’ottimo risultato delle Regionali (con 20 deputati all’Ars) sono stati spazzati via dal ritorno dei moderati, della sepolta (altrove) alleanza fra Lega, Forza Italia e Musumeci. Oltre a non aver conquistato alcun Comune al primo turno – tranne Pantelleria – il Movimento si aggrappa al ballottaggio solo in due casi: a Ragusa, dove vantava il sindaco uscente, e ad Acireale. A Catania, Siracusa, Messina e Trapani i risultati sono modesti: le liste hanno preso in media fra il 10 e il 13%. Come modeste le spiegazioni e l’analisi del voto, che il vice-presidente dell’Ars ha affidato al solito post su Facebook: “Ovviamente per i media abbiamo perso tantissimo consenso, ma questo lo dicono ogni volta che si vota – ha spiegato Giancarlo Cancelleri -. La realtà è che ogni volta che hanno fatto questa analisi si è sempre rivelata sbagliata alle elezioni successive. C’è una unica verità, che rispetto alle amministrative del 2013 cresciamo e di molto. Per gli amanti dei numeri, se volete farlo seriamente, consiglio di analizzare solo quelli”.
E’ come se il Movimento, spinto sull’onda della crisi, provasse a cavarsi fuori dagli impicci – come l’incapacità di creare una classe dirigente locale – con le solite dichiarazioni di circostanza che una forza di governo non dovrebbe più permettersi. La responsabilità di guidare il Paese corrisponde alla responsabilità di rapportarsi con esso. In modo schietto e trasparente. Una spiegazione, bella e possibilmente buona, sarebbe servita dopo che martedì sera, infischiandosene totalmente del politically correct o del ruolo istituzionale rivestito, i deputati grillini all’Ars abbiano deciso di girare i tacchi e andarsene quando in aula, da ospite, è intervenuto il presidente della Repubblica di Malta. Solo perché Malta, che in proporzione al numero dei suoi abitanti ospita otto volte i migranti dell’Italia, ha detto no al “salvataggio” di Aquarius. E come un bambino capriccioso di fronte a una maestra insolente, i grillini hanno protestato. Andando via e sbattendo la porta. Anche in questo caso la “giustificazione” è stata affidata a una nota generica da cui si evince che “non siamo disposti a tollerare la loro indifferenza su un tema delicato che riguarda vite umane”.
L’eclissi dei Cinque Stelle – forse la sofferenza rispetto alla posizione subalterna assunta sul piano nazionale rispetto a Salvini – è emerso dal web, proprio sulla questione migranti. Se da Toninelli e Di Maio in giù si sono mostrati “falchi” e han tirato fuori gli artigli su Aquarius e i rapporti con la fredda Europa, parte degli attivisti e dalla “base”, le colombe, mal sopportano gli hashtag e questa volontà di soccombere al leghismo, chiudere i porti, destinare i migranti altrove o ridurre gli aiuti verso chi soffre. Il M5S ha pur sempre un motore di sinistra. Diventare la stessa cosa di Salvini, soprattutto al Sud, non la ritengono una gran mossa. Si è visto già domenica.