Non si può certo dire che Nino Minardo sia un “pischello” della politica. Non fatevi ingannare dalla sua carta d’identità (ha appena 41 anni), perché il deputato nazionale fresco di brindisi con Matteo Salvini e Stefano Candiani, che ha sancito il suo passaggio alla Lega, è entrato per la prima volta in Parlamento all’età di 30 anni. Ha seguito le orme dello zio, Riccardo Minardo, già deputato e senatore: prima con Forza Italia (assieme a Giovanni Mauro e Innocenzo Leontini, nei primi anni Duemila, fece parte del tridente che colorò di azzurro la provincia di Ragusa), poi col Movimento Autonomista di Raffaele Lombardo, che fu il canto del cigno della sua avventura politica, terminata nel 2011 per una brutta disavventura giudiziaria mentre sedeva tra i banchi dell’Ars. All’epoca il nipote era già in corsia di sorpasso.
Minardo jr debutta nel 2004 come assessore allo Sport all’ex provincia regionale di Ragusa, scelto dal presidente dell’epoca, l’Udc Franco Antoci. Poi, a passo di marcia, si candida alle Regionali del 2006, dove manca l’elezione ma consolida il consenso (oltre 11 mila preferenze). Si accomoda al Cas (Consorzio Autostrade Siciliane), dove fa il presidente per qualche tempo. Ma l’attesa è breve: convince Berlusconi e nel 2008 ottiene la candidatura alla Camera dei Deputati, dove blinda la sua posizione anche cinque anni dopo, con il Popolo della Libertà. Quando Alfano “strappa”, fondando il Nuovo Centrodestra e sostenendo i governi a guida Pd (da Letta a Renzi), Minardo lo segue in amicizia, ma dopo quattro anni capisce che non è più aria. A giugno 2017 fa ritorno in Forza Italia. Un progetto in calo, ma che gli permette di ottenere per la terza volta l’elezione a Montecitorio.
Fino alle riflessioni di questi mesi. Come ammesso candidamente a Buttanissima, il deputato di Modica, che è stato commissario provinciale del PdL e ha rivestito il medesimo ruolo in Forza Italia dal febbraio scorso, non ha più visto nel suo partito la capacità di rigenerarsi e di assumere una posizione rispetto ad alcuni temi fondamentali (“Era da due anni che mi sentivo a disagio”). Cosa che ha saputo fare la Lega, ritenuta un modello di buongoverno (soprattutto nelle regioni del Nord). Da qui il messaggio di ieri e le foto con Salvini, che hanno rotto definitivamente gli indugi: “L’incontro con Matteo Salvini ha sancito la conclusione di un percorso di dialogo che va avanti da mesi e l’inizio del mio percorso politico con la Lega – ha detto Minardo –. Una scelta maturata con la convinzione che da qui possiamo lavorare per trovare quella chiave di volta che rafforzi, con le idee, un centrodestra che ha voglia di rigenerarsi anche in Sicilia”.
Parla di centrodestra Minardo, e non solo di Lega. Perché lui ha sempre giocato in quella metà campo. E più che sovranista convinto, è uno che ama definirsi “orgogliosamente terrone”, un meridionalista con la scorcia dura, un moderato che non vuole arrendersi alla decadenza del centro. Uno che alle ideologie ci crede il giusto, perché è più importante la sostanza. Da qui la scelta di passare alla Lega, la cui classe dirigente in Sicilia è ancora work in progress. Stefano Candiani, negli ultimi mesi, ha provato a tenere insieme i pezzi del puzzle con un’accurata selezione all’ingresso (no ai “riciclati”, solo gente incensurata). Anche se le divisioni – etiche e generazionali – sono emerse soprattutto alle ultime Europee, dove la candidatura del decano Angelo Attaguile, sostenuto dalla famiglia Genovese, ha fatto perdere al Carroccio siculo un bel pezzo di credibilità.
In questo contesto Minardo può aiutare. Non solo a rinnovare e consolidare la tradizione di un partito senza storia, ma anche a ripristinare i contatti nell’agone di un centrodestra che in Sicilia è figlio dei malintesi e degli insulti (Micciché ha dato a Salvini del “coglione” prima di ravvedersi). Il passaggio dell’ex forzista alla Lega, anche in prospettiva, è un tentativo di rassemblement, di dialogo, di alleanza verdeazzurra come l’ha ribattezzata lo stesso Micciché. Il commissario di FI, pur non facendo i salti di gioia per la perdita del deputato (che nell’avventura potrebbe coinvolgere il messinese Nino Germanà), ha affibbiato a Minardo il ruolo ideale di “pontiere” con il Carroccio. Per agganciare la Lega e fare in modo che questa convivenza si trasformi da “male necessario” a “occasione irripetibile”, ed elettoralmente valida.
Un altro elemento di spicco dell’intera vicenda è come la scelta di Candiani sia ricaduta sulle gambe agili e scattanti del 41enne Minardo, piuttosto che su quelle stanche e anchilosate di Nello Musumeci. Che per mesi ha fatto il filo alla Lega (la presenza a Pontida lo testimonia) ma non è mai riuscita a offrire più di una stampella o di qualche pezzo d’antiquariato per una casa – il Carroccio – che deve ancora ultimare le fondamenta.
Minardo, invece, è uno degli architravi. La sua famiglia, politica a parte, è molto presente sul territorio. Papà Rosario è a capo del gruppo Minardo, che si occupa di petrolio (la Zenit Srl fattura 330 milioni l’anno, è l’undicesima azienda siciliana), ma anche di edilizia e informazione (da Modica è partita la scalata di Video Regione). Nino poteva fare l’imprenditore, ma per il momento ha scelto la politica. La Lega se lo gode: “Credo sia giusto – ha detto Igor Gelarda, responsabile Enti locali del Carroccio per la Sicilia Occidentale – che il partito si allarghi qui in Sicilia e cresca con persone che hanno una grande esperienza e che si sono rese conto che Forza Italia non si è saputa rinnovare. Nino Minardo da oggi è un alleato in più perché la Sicilia cambi radicalmente, così come vogliamo noi siciliani e così come vuole la Lega di Matteo Salvini”. E lo stesso Minardo ribadisce il concetto: “Ora mettiamoci al lavoro e ripartiamo dai territori”. Al Carroccio, che ha già sfondato gli argini di una terra tradizionalmente moderata, non resta che fare ingresso all’Ars.