“Il calcio è di chi lo ama” è lo slogan utilizzato dal main sponsor del campionato di Serie A, e di solito vale ovunque. Tranne a Misterbianco, 50 mila anime, in provincia di Catania. Dove il pallone rotola solo per gli undici giocatori in campo e per uno staff di categoria – ne fanno parte alcune vecchie glorie del Catania – ma non per i tifosi. Sulle tribune dello stadio di San Gregorio, dove il Città di Misterbianco gioca da un po’ di tempo per l’inagibilità del proprio impianto, non si vede anima viva. “Tra noi e la città non c’è alcun legame – dice a ‘La Stampa’, sconsolato, il direttore sportivo Gigi Chiavaro – Finora non ci è arrivato alcun segnale da Misterbianco, qualcosa che ci faccia capire che anche per il pubblico noi siamo la squadra della città”. Attenzione, però, Fra Misterbianco e San Gregorio la distanza non è abissale (una ventina di chilometri). E il problema non è legato ai risultati (gli etnei sono quart’ultimi in classifica). Risiede altrove.
Lo scorso febbraio il club “Città di Misterbianco” è stato sequestrato, assieme ad altri beni, al clan dei fratelli Carmelo e Vincenzo Placenti, nell’ambito di un’operazione diretta dalla Dda di Catania (denominata “Revolution Bet”) che ha portato a 21 arresti. I Placenti, denominati i signori del gioco d’azzardo, vantano legami di primo pelo con la famiglia dei Santapaola-Ercolano e sono considerati i dominus di Misterbianco. La società di calcio era il loro fiore all’occhiello. E si erano spesi a tal punto da far arrivare al club – che milita in Promozione, una categoria poco più che modesta – sponsorizzazioni per 600 mila euro. La prima mossa dei magistrati, coordinati dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, è stata sfilargli la squadra e restituirla alla collettività.
“I cittadini devono avere contezza che una società controllata dalla mafia può essere recuperata sulla base della legge, essere restituita alla legalità ed essere messa al servizio della comunità” dice Zuccaro. Il problema, però, è che il messaggio per il momento non è stato raccolto da nessuno. E’ come se, estirpata la proprietà, fosse venuto a mancare anche il resto: tifo, passione, attaccamento. Ciò che rende tale una squadra di calcio. Sono valse a poco le iniziative messe in campo dai pm, compresa una sfida fra il Città di Misterbianco e l’Atletico legalità, una squadra formata da magistrati, poliziotti e carabinieri che condussero quell’indagine. “Ci alleniamo da agosto e il campionato è cominciato a settembre, ma è come se nessuno in quel paese importasse di questi ragazzi”, sospira il direttore dell’area tecnica, Antonio Nasisi. Il calcio è di chi lo ama. Ma a Misterbianco per il momento non ha seguaci.