Il centrodestra che nel 2017 ha sbancato le urne in Sicilia, archiviando la stagione di Crocetta, è sembrato il primo modello da replicare anche altrove per riprendersi le Regioni. Ma la politica, che tutti definiscono una scienza esatta, negli ultimi tempi si è rivelata incredibilmente volatile. E quello schema – con Musumeci, Micciché e i centristi – è già superato. E persino bocciato (visti i risultati del governo e le tensioni all’Ars). La destra che vince è quella di Salvini e della Meloni, e persino Berlusconi – dopo aver partecipato al trionfo in Umbria – fatica ad ammettere un piccolo dettaglio, o grande verità che dir si voglia: Forza Italia è un partito quasi scomparso (la Carfagna teme per la soglia di sbarramento, Micciché ha ripensato a Grande Sud), incenerito dalle spinte sovraniste.

“Anch’io due anni fa ho lavorato alla riorganizzazione del centrodestra siciliano – debutta Raffaele Stancanelli, europarlamentare catanese di Fratelli d’Italia – Quel modello, che ancora non contava sulla spinta propulsiva della Lega, doveva essere per forza vasto. Noi l’abbiamo riunito e abbiamo vinto. Francamente non so dirle cosa succederà la prossima volta, ma è chiaro che anche la Sicilia dovrà agganciarsi ai partiti nazionali”. Stancanelli gongola per il risultato di FdI in Umbria (il 10,4%, doppiata Forza Italia), ma non nasconde un velo di preoccupazione per il quadro siciliano a tinte fosche. “Io avevo provato ad aggregare…”.

A cosa si riferisce?

“Ricorda il congresso di Diventerà Bellissima? Ero l’unico a sostenere la tesi che il movimento del presidente della Regione dovesse essere il co-fondatore, assieme a Fratelli d’Italia, di un nuovo soggetto politico che avesse la capacità e le intenzioni di aggregare tutte le forze di centrodestra che non si riconoscevano in Forza Italia o nella Lega. Sa come andò a finire…”.

Che la sua mozione fu respinta.

“Legittimamente”.

Il commissario della Lega, Stefano Candiani, parla di un abisso fra la situazione umbra e il governo siciliano.

“Forse si riferisce a questo. Al fatto che manchi un collegamento con i partiti nazionali. Io non parlerei di abisso, ma di alcune differenze. Non condivido le estremizzazioni”.

E’ diventato anche lei un moderato?

“Sicuramente nei modi garbati e gentili. Ma ho l’impressione che nel linguaggio politico attuale, la parola “moderato” indichi troppo spesso chi non sa da che parte stare. Se a destra o a sinistra. E finisce col trasformarsi in un voltagabbana. E in questo senso non mi appartiene”.

Applicato all’ideologia politica, moderato è chi assume una posizione di centro. Chi non insegue le sirene populiste e sovraniste. Lei che è di Fratelli d’Italia dovrebbe saperlo.

“Anche l’uso che si fa della parola “sovranista” non mi convince. Ha senso quando si parla di sovranità popolare, ma in una Regione cosa vuole che ci sia di sovranista…”.

Ecco, veniamo alla Regione. Come valuta da fuori la frattura fra Musumeci e Micciché?

“Denota l’assenza di una leadership. Vede, a livello nazionale ci sono quella di Salvini, quella crescente della Meloni e quella un po’ appannata di Berlusconi. Si è trovata una convergenza partendo anche da basi caratteriali diverse. In Sicilia, nell’ambito della maggioranza numerica del centrodestra, non c’è invece una leadership riconosciuta. Per questo si fa fatica ad aggregare. Un leader, per essere individuato come tale, deve avere un progetto serio, certo, riconoscibile. Non cambiare due, tre o quattro volte posizione nel giro di un mese. Bisogna confrontarsi con la base e avere il coraggio delle proprie scelte. Oggi, invece, sembra ci sia una certa riluttanza a dire cosa si pensa”.

Musumeci secondo lei non è un leader?

“Musumeci ha scelto di essere il capo del governo. Ha trovato dei disastri e, da buon amministratore, sta cercando di riparare. Ha scelto di svolgere questo incarico e forse ha fatto bene a non occuparsi degli aspetti politici della coalizione”.

Ma la rottura tra Musumeci e Micciché, se non verrà ricomposta, che conseguenze potrà avere per la Sicilia?

“Nel 2012 erano entrambi candidati alla presidenza e il risultato fu la sconfitta del centrodestra. Mi auguro che le scaramucce delle ultime settimane possano rientrare. Le controversie non giovano a nessuno”.

Quali devono essere le caratteristiche di un leader?

“Alcune gliele ho elencate prima. Potrei aggiungere che un buon leader deve saper amalgamare tutte le sfumature di una coalizione, che esisteranno sempre. Essere un buon federatore e al di sopra delle parti. Fare sintesi tra le diverse posizioni. Se ne possono trovare anche negli attuali schieramenti”.

Salvo Pogliese le piace?

“E’ un mio amico ed è impegnato a fare il sindaco di Catania. Non ho voglia di fare alcun nome perché rischierei di bruciarlo”.

Perché il voto in Umbria ha un forte valore nazionale?

“Perché l’affluenza alle urne è aumentata del 10%. Questo è un segnale rivolto soprattutto al Movimento 5 Stelle, che negli ultimi mesi ha cambiato partner di governo passando dalla Lega al Pd. La foto di Narni è già storia”.

Che segnale è il boom di Fratelli d’Italia?

“Pur rispettando il risultato della Lega, siamo l’unico partito ad aver aumentato i consensi sia a livello percentuale che in termini di voti assoluti rispetto alle Europee. Anche il nostro è un messaggio forte e abbiamo dimostrato che, soprattutto nel Meridione, ci candidiamo ad essere un architrave del centrodestra”.

In Sicilia che parte reciterete?

“Fino a poco tempo fa qualcuno sosteneva che saremmo rimasti il partitino del 2%. Ma abbiamo quasi raggiunto l’8% alle Europee, con punte del 10 e del 15 in alcune zone. Svolgeremo un ruolo importante per la costruzione della nuova coalizione di centrodestra, che deve prepararsi a governare ancora meglio l’Isola nei prossimi anni”.

Lei è stato sindaco di Catania. E’ accettabile che il governo Musumeci trovi i soldi per abbellire la tenuta equina di Ambelia e il Teatro Massimo Bellini, che non ha ricevuto il reintegro dei finanziamenti da parte della Regione, rischi di morire?

“Dato che al momento non sono alla Regione, ma mi occupo di altro, non intendo sindacare sui singoli atti del governo. Faccio un’eccezione per il “Bellini”, di cui sono stato anche presidente durante la mia sindacatura. Il governatore, gli assessori e il parlamento devono stare attenti. Non si può far morire una delle istituzioni culturali siciliane più importanti, che tutti ci invidiano. Sono convinto che il governo troverà le soluzioni migliori perché nel bilancio della Regione vengano previste le risorse che permettano al Teatro Bellini di continuare a svolgere il ruolo che porta avanti da oltre un secolo”.

Alla luce dei primi due anni di governo, si spenderebbe per la rielezione di Nello Musumeci?

“Per la mia storia e il mio ruolo, mi spenderò a favore del candidato di centrodestra che meglio rappresenterà le caratteristiche che ho cercato di rappresentarle finora”.