Qualcosa non torna nelle dimissioni di dieci consiglieri dal plenum della Camera di Commercio di Palermo ed Enna, proprio nei giorni in cui si scioglievano i nodi sul futuro della Gesap, la società di gestione dell’aeroporto “Falcone-Borsellino” che Leoluca Orlando voleva rivoluzionare dall’interno. E di cui la Cciaa detiene il 23% del pacchetto azionario, oltre a esprimere un membro nel Consiglio d’Amministrazione, cioè Alessandro Albanese. Ma perché non sia soltanto un gioco di sigle, proviamo a riassumere i contorni foschi della vicenda: giovedì 26 settembre, a una settimana dalle dimissioni di tre consiglieri Gesap in quota Orlando (con il presidente Giuffrè ormai sfiduciato), i “delegati” di Confcommercio, su input della presidente Patrizia Di Dio, si dimettono della Cciaa. Sono in dieci, oltre all’ennese Maurizio Prestifilippo, che aveva già comunicato l’addio. Ne sarebbe servito un altro per far decadere l’ente camerale e provvedere al suo commissariamento, facendo venir meno la nomina di Albanese, già ratificata dalla giunta, nel nuovo Cda dell’aeroporto.

Nella nota diramata agli organi di stampa il 27 settembre, i dimissionari spiegano che alla base della decisione c’è “l’impossibilità di realizzare strategie concrete per lo sviluppo dei territori” e inoltre che “la Camera di Commercio versa in gravissime condizioni finanziarie causate dalla drastica riduzione dei diritti camerali, imposta anni fa dal governo nazionale: condizioni che rendono insostenibile la corretta conduzione dell’Ente che deve tra l’altro perseguire il principio del pareggio di bilancio”. Il sospetto, però, è che le dimissioni dalla Camera di Commercio fossero collegate alle sorti di Gesap e dell’aeroporto, di cui Orlando è il padrone incontrastato. O, addirittura, ai nuovi equilibri della giunta del “professore”, che potrà contare su tre posti ulteriori: la presidente Patrizia Di Dio, nei rumors di questi giorni, è tra i candidati alla poltrona di assessore (ma lei ha smentito a “Repubblica).  Alessandro Albanese, però, getta acqua sul fuoco: “Non metto assolutamente in relazione le dimissioni dei consiglieri di Gesap, e di conseguenza la ricostituzione del Cda, con quelle dei dieci consiglieri della Camera di Commercio. Non le voglio, non le posso e non le voglio mettere in relazione perché sarebbe un atto gravissimo”.

Sarà anche vero, presidente. Però il tempismo è strano. Nei giorni in cui Gesap cambia volto, parte questa manovra alla Camera di Commercio. E si accampa la scusa delle difficoltà economiche. E’ davvero così?

“I ragionamenti da fare sono un paio”.

Vada col primo.

“E’ vero che la Camera di Commercio soffre maledettamente a causa del taglio del 50% dei diritti camerali, avvenuto nel 2014. Pensi che un’impresa media paga 90 euro di diritti camerali l’anno, un’impresa strutturata non va oltre le 600-700 euro. Sul piano dei servizi resi alle aziende non c’è paragone. Ma col dimezzamento dei diritti camerali, le camere siciliane, che sono le uniche in Italia a pagare le pensioni agli ex dipendenti, sono andate in default”.

E qui, immagino, subentra la seconda parte del ragionamento.

“Il 24 gennaio 2018, all’unanimità, abbiamo approvato un piano pluriennale di rientro dal deficit strutturale, in cui erano indicate le perdite previste fino al 2022. Quest’anno, a fronte di una previsione di perdita di 3 milioni, ne abbiamo persi 2 (rispetto ai 6,4 del 2017). Se non avessimo dovuto pagare le pensioni, che gravano sul bilancio per 7,6 milioni, avremmo avuto un utile operativo di oltre cinque milioni e mezzo di euro”.

Sta dicendo che se esiste un problema di natura economica, non era questo il momento per esternarlo?

“Sto dicendo che stiamo affrontando battaglie importanti. Quando nel 2017 ci siamo insediati, sapevamo di farlo a “cassa zero”. Alla Camera di Commercio nessuno percepisce compensi, gettoni o spese di rappresentanza, e non lo trovo corretto perché il lavoro e le responsabilità si pagano. Ma tutti conoscevano la situazione. Chi ha accettato di stare in giunta o di fare il consigliere ne era al corrente”.

Quali sono le battaglie?

“Grazie all’aiuto di Unioncamere – sono io il portavoce a livello regionale – il 23 dicembre dello scorso anno abbiamo ottenuto un recupero del 50% dei diritti camerali. Inoltre, la Regione siciliana ha finalmente autorizzato la creazione di un apposito Fondo per la previdenza dei pensionati camerali che graverà, comunque, solo sul bilancio delle Camere di Commercio. E infine, per la prima volta dopo quarant’anni, abbiamo iniziato a dialogare con l’Inps per immettere al suo interno il Fondo pensioni. Ne fanno parte tutte le regioni d’Italia, tranne la Sicilia. Laddove si trovasse un accordo, il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio nel medio/lungo periodo sarebbe certamente assicurato e potremmo marginalizzare 5 milioni l’anno di utile”.

Questo è uno dei motivi per cui sindacati e rappresentanti di categoria non hanno accolto bene le dimissioni dei membri di Confcommercio dal plenum. Si è parlato di scelte “inappropriate e inopportune” che “minerebbero tutto il processo”.

“Mi faccia dire prima una cosa. I consiglieri hanno posto alcune problematiche riguardo alla responsabilità, da parte loro, di approvare un bilancio in perdita. Così ho richiesto un parere “pro veritate” al professore Stagno d’Alcontres, uno dei più stimati a livello nazionale, che ha escluso ogni tipo di rischio, e anzi è andato oltre: spiegando che la mancata approvazione di un bilancio in perdita, quella sì, genera delle responsabilità perché occulta le perdite nei confronti di terzi. Poi, se il bilancio contiene elementi di “falso” è un’altra cosa e si va in galera. Ma lei pensa che alla Camera di Commercio, dove nessuno percepisce compensi, ci sia qualcuno disposto ad arrivare a tanto?”.

Cosa avrebbe comportato la decadenza dell’ente?

“Il commissariamento. E i commissari – ce ne sono di stimatissimi in giro, come la prof. Giovanna Candura a Caltanissetta – hanno necessariamente una visione commissariale. Analizzano entrate e uscite, e si comportano da notai”.

Il personale avrebbe corso qualche rischio?

“Se saltasse la Camera di Commercio di Palermo, la prima richiesta sarebbe quella di salvaguardare le pensioni. Oggi noi abbiamo 205 pensionati e 89 dipendenti. La forbice si è allargata. Quindi si sarebbero dovuti licenziare i dipendenti, sacrificando i numerosi servizi resi alle imprese”.

Quali sono i servizi resi alle imprese?

“La Camera di Commercio di Palermo ed Enna – che oggi è la quinta d’Italia per dimensioni con oltre 128.000 imprese registrate – a soli 31 mesi dalla sua nascita, ha raggiunto importanti obiettivi non solo di bilancio. Ha garantito il regolare pagamento di stipendi e pensioni (compresi 7 mesi di arretrati ereditati dalla estinta camera di Enna) ma, soprattutto, ha continuato a fornire tutti i propri servizi senza soluzione di continuità e senza ridurre la costumer satisfaction che si è mantenuta sulla media nazionale. In particolare, ha supportato le imprese con interventi mirati su innovazione tecnologica, formazione continua per imprenditori e manager, sostegno alla digitalizzazione, avvio di percorsi di formazione digitale e imprenditoriale con Industria 4.0, sostegno per i Neet alla ricerca di prima esperienza imprenditoriale, informazione e supporto per il deposito di pratiche per la registrazione di brevetti e marchi e tutela della proprietà industriale. E poi ci occupiamo del registro camerale, grazie a diciotto dipendenti che lavorano in modo straordinario: sa che alla Camera di La Spezia, molto più piccola della nostra, ce ne sono sessanta? Comunque, tutti gli impiegati della Cciaa lavorano in modo impeccabile. Facciamo funzionare le cose a dovere”.

Invece, cosa manca?

“Non possiamo fare attività a valore aggiunto perché non abbiamo le risorse. Sarebbe bello costruirci un palacongressi tutto nostro”.

Nonostante tutto quello che è accaduto, lei ha ottenuto la nomina del Cda di Gesap.

“E’ un onore, perché la Gesap nasce grazie alla Camera di Commercio. Io sono un consigliere d’amministrazione. Ho sempre detto che i ruoli devono essere esercitati all’interno di confini stabiliti: non mi auto-delego su nulla, non vado in giro per l’aeroporto a parlare con i tecnici, gli ingegneri o le imprese che fanno i lavori, se non c’è una riunione del Consiglio. Il mio ruolo è amministrare, dare un contributo di professionalità e conoscenza all’interno del Cda”.

Perché tre membri del vecchio Cda si sono dimessi?

“Dicono per “motivi personali” e per il clima reso un po’ pesante da alcune scelte. Ma la domanda va posta a loro. Nell’ultimo anno, ove si è potuto, abbiamo sempre cercato di votare all’unanimità. Nell’amministrare c’è poca politica, l’importante è non declinare politicamente l’amministrazione. La Gesap è una società per azioni, non è un ente”.

Qual è la sua visione dell’aeroporto Falcone-Borsellino. Molti le imputano di essere a favore di un ingresso dei privati, mentre Orlando non lo è.

“Una cosa va chiarita subito: se la società ha dei risultati, vuol dire che è amministrata bene. L’aeroporto, però, è in regime di monopolio: non è che uno stamattina si alza e può scegliere di partire da Misilmeri o Bolognetta. Basandoci su analisi empiriche, si capisce che una gran mole di fatturato è garantito dal traffico interno, specie sulle tratte con Roma e Milano. Il 20% delle rotte internazionali, però, hanno portato un notevole indotto turistico”.

Non ci ha ancora detto la sua visione.

“L’ho sempre esplicitata: non è che una cosa gestita dal pubblico va male, ma a mio parere una cosa gestita dal privato può andare dieci volte meglio. Gesap, in realtà, è gestita come una società privata. Ma a differenza dei privati, che amministrano per fare un utile operativo, la politica amministra per ottenere un ritorno politico. E in alcuni casi lo fa in modo sfrenato e metodico. E’ un tipo di visione. Ma non è la mia. Gesap potrebbe essere gestita meglio dal privato, ma questo non vuol dire che bisogna privatizzare ora”.