Torna in Sicilia la Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, primo e, secondo alcuni, unico grande capolavoro del compositore livornese, che gli valse il primo premio del Concorso Sonzogno e un debutto strepitoso al Teatro Costanzi di Roma. Torna al Teatro Massimo di Palermo per due settimane questo dramma torrido della gelosia contadina, lanciato da Giovanni Verga nella Vita dei Campi, e musicato da un giovanissimo Mascagni a tempi di record: il dramma di Turiddo, soldato innamorato, e di compare Alfio, carrettiere, marito della bella Lola, già fidanzata del primo e però pronta a trescare col suo ex fino a condannarlo a morte. In programma sei recite fino al 23 giugno sotto la direzione di Fabrizio Maria Carminati, la regia di Marina Bianchi e con un cast di qualità (Sonia Ganassi al suo debutto nel ruolo di Santuzza, il tenore turco Murat Karahan nei panni di Turiddo, il baritono armeno Gevorg Hakobyan in quelli di Compar Alfio, Agostina Smimmero, Mamma Lucia, e Martina Belli, Lola).
Ma la novità sta nel fatto che all’opera di Mascagni si accompagna la proiezione di Rapsodia satanica, un film muto del regista Nino Oxilia, uscito nel 1915 con musiche originali di Pietro Mascagni, che scrisse e diresse varie volte quella che è considerata una delle prime colonne sonore del cinema italiano del Novecento. Inoltre, altra novità, a Palermo grazie a un grande schermo in piazza, pagando un solo euro per il biglietto, il pubblico potrà non solo apprezzare la copia restaurata della pellicola di Oxilia, uscita dalla Cineteca di Bologna, ma anche seguire in diretta la Cavalleria di Mascagni ripresa da quattro telecamere.
Mascagni scrisse la Cavalleria giovanissimo. Aveva solo 24 anni e all’epoca viveva a Cerignola, ricco centro agricolo foggiano, dove era finito per disperazione dopo aver vagato per mezza Italia con una compagnia di giro. Deciso ormai a cambiare vita, a lasciare “quella schifosa vita nomade di saltimbanchi” in cambio di uno stipendio sicuro come responsabile dell’erigenda Filarmonica comunale, vegetò vario tempo in attesa della liberazione da quel “paese antico, bigotto, superstizioso”, dove peraltro conviveva more uxorio con luna giovane parmigiana di buona famiglia, diventata la sua bussola, la madre dei suoi figli e infine sua moglie. Dopo varie vicissitudini, moglie malata di tifo, figlio morto in fasce, avvilimento, stenti, ansie di riscatto inappagate, la liberazione avverrà grazie al concorso indetto dall’editore Sonzogno per un’opera in un atto unico, da presentare entro il maggio 1899.
In un primo tempo Mascagni pensò di musicare Marito e Sacerdote, racconto del cosentino Nicola Misasi, “soggetto di efficacia superiore”, centrato sulle tristi nozze tra un pope ortodosso fresco di seminario e la bella del paese, che però non è pura, come la religione prescrive, e viene per di più assediata dentro il talamo dall’ex innamorato creduto morto, che spunta fuori d’improvviso chiedendole di fuggire con lui. Poi però, per ragioni di tempo, Mascagni cambia soggetto. Abbandona il racconto calabrese per quello siciliano di Verga, che era già stato adattato al teatro. “Il principio del libretto è ottimo, si vede che mi hai compreso, mi piace fino al delirio”, scriverà il 5 gennaio 1889 ai librettisti amici. Entusiasta, Mascagni è anche di bocca buona: “Impossibile fare meglio. Romanza sup. indovinatissima, finale grande efficacia. Sortita carrettiere forte, originale. Già musicata. Recit. versi sciolti, mia somma soddisfazione. Preludio e 1°coro già completi. Lavorerò uso treno lampo”.
Da allora in poi niente più sembra frenarlo, non quel “paese oscuro e infelice”, non la crisi della peronospora, con conseguente rivolta contadina, assalto al municipio e chiusura della Filarmonica. E nemmeno la carenza di un pianoforte, cui ovvierà grazie a una ricca zia. Comporre la Cavalleria sarà una corsa contro il tempo, finché il 27 maggio 1889 la moglie porta alla posta il pacco sotto una pioggia torrenziale e finalmente lo spedisce a Milano. “Pesava k.2800. Speriamo che ci frutti k.2.800 di biglietti da mille”, annuncia Mascagni alla zia benefattrice. Previsione al ribasso per un’opera che in pochi mesi, dopo la vittoria del concorso e il debutto trionfale al Costanzi di Roma il 17 maggio 1890, diretta da Leopoldo Mugnoni, farà di Mascagni un uomo abbiente, e in 50 anni conterà 14 mila rappresentazioni.