Giulia ha 25 giorni, domani se tutto va bene saranno 26. I suoi genitori pranzavano al ristorante del bar e lo capisci subito quando qualcuno pranza per abitudine, perché sono le due e insomma alle due pranzi per convenzione. Sul tavolo un piatto di riso, una grigliata di verdure e i pensieri persi dietro al vetro che dà sulla strada.
La loro storia era iniziata il giorno prima in un piccolo paese che sta dall’altra parte della Sicilia, dove abitano, con l’elisoccorso che carica la piccola Giulia e la porta all’ospedale Civico. Stava male da giorni, era gialla, parlavano vagamente di infezione, ma infezione da cosa? Giulia ha perso conoscenza, l’allarme di notte, l’elisoccorso. La donna raccontava e piangeva, al tavolo di un bar lontano dal loro mondo, dalla loro vita. Io ho ascoltato e poi ho detto una banalità, di quelle che dici perché sai che chi ti ascolta vuole sentirselo dire. “Al Civico sono bravissimi”. Che poi magari è pure vero, ma l’avrei detto anche se non fosse stato così. La donna ha sorriso, e io sapevo che avrebbe sorriso se qualcuno le avesse detto che i medici del Civico sono bravissimi. Li ho rivisti oggi, dopo due giorni.
Facevano la fila al ristorante. Mi sono sembrati più sereni. E Giulia? “Giulia si è svegliata, sta meglio”, mi ha detto lei prima di scoppiare a piangere. E io ho pensato ai medici del Civico che sono bravissimi, e al fatto che lo sapevo anche se non lo sapevo.