A Palermo c’è il lavoro nero, ci credereste? Non lo sospettavate nemmeno, la notizia vi coglie di sorpresa. Il dito nel gelato era quello di un dipendente in nero. Per quello nessuno ha denunciato l’incidente, perché il banconista lavorava in nero. L’uomo invisibile. Come altri mille, diecimila, come altri centomila che lavorano nei bar dove prendete il vostro cappuccino la mattina, nelle pizzerie, nel vostro ristorante preferito. C’è gente che lavora in nero e voi l’avete scoperto così, per via di un dito mozzato in fondo a un cono di morbida zuppa inglese.
Si è scomodata pure la scrittrice Antonella Boralevi, su La Stampa di Torino, per indicarci con sorpresa la strada della nostra vergogna, bene, prendiamo atto. Perché i salottieri che non scendono per strada neanche per sbaglio certe cose le scoprono così, all’improvviso, a timpulata, come si dice da queste parti. E prendono fuoco in misura direttamente proporzionale al loro stupore.
Io, molto più modestamente, non farò niente di tutto questo. Non mi indignerò nemmeno perché la storia del lavoro nero, che poi null’altro è che la Storia di tutte le Storie, non l’ho scoperta grazie al dito mozzato. La conosco fin troppo bene, la imparavo assieme alla tabelline.
A Palermo esiste il lavoro nero, e mica solo in un bar di Passo di Rigano, esiste pure nelle strade che profumano di bucato. Date retta a me, meno filosofia e più tempo passato per strada, scoprirete cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare, e senza nemmeno bisogno di aspettare lo scoop del giornale.