Ai 5.300 Asu, una categoria di precari che si occupa di lavori socialmente utili (paga di 600 euro al mese, inferiore al reddito di cittadinanza) è mancato l’ultimo santo in paradiso: la stabilizzazione attesa da vent’anni si è arenata all’Assemblea regionale perché non si trovano 179 mila euro utili a pagare le coperture assicurative di un migliaio di persone che dovevano essere trasferite da strutture private a strutture pubbliche. E’ una beffa clamorosa, perché nella Finanziaria approvata a febbraio sempre da palazzo dei Normanni, si erano trovati 35 milioni di euro per garantire a questa platea il pagamento dello stipendio. La norma che prevedeva la loro stabilizzazione, invece, è stata stralciata, anche se il Movimento 5 Stelle e non dispera: l’obiettivo è riscriverla entro martedì pomeriggio, quando riprenderà la votazione sul “collegato bis”, escludendo il capitolo della spesa e chiudendo il cerchio vent’anni dopo.
La mancata approvazione ha suscitato le ire dei due partiti d’opposizione, che quasi per ripicca si sono opposti a una delle numerose norme farlocche di un testo rivisitato più volte: e, col voto segreto, hanno segnato la nascita di un osservatorio sul florovivaismo. Tiè. “Avevamo la possibilità di lavorare per garantire un futuro occupazionale alle migliaia di lavoratori degli Enti Locali ASU che da oltre 20 anni svolgono un vero e proprio lavoro nero legalizzato – ha spiegato il deputato grillino Giovanni De Caro – invece la Presidenza dell’Ars ha avuto il coraggio di stralciare la norma sui precari. Non è vero che non ci sono soldi per la copertura finanziaria, gli uffici ci hanno detto il contrario. E’ accaduto un atto vergognoso dato che nelle commissioni di merito erano state già cassate le parti che potevano comportare ulteriori oneri finanziari. A Musumeci non interessa il futuro occupazionale di oltre 5 mila persone che reggono i nostri Enti Locali dato che per loro non ha espresso una sola parola in Aula. Si è espresso solo per i palafrenieri”.
Già, perché ieri Musumeci ha fatto il suo ritorno in aula. E si è impegnato fortemente per l’approvazione dell’articolo 3 che vara una nuova pianta organica per l’istituto dell’incremento ippico: dei 30 amministrativi che ne fanno parte, alcuni verranno declassati nuovamente a palafrenieri e daranno da mangiare ai cavalli (questa la sintesi). Mentre i lavoratori rimangono a spasso, anche se per gli Asu ci sarà una corsa contro il tempo e un approfondimento con l’assessore al Lavoro prima di tornare in aula. Lavoro è la parola magica. Ma in Sicilia è sempre più soppiantata da “precariato”. Anche se da Sala d’Ercole un paio di notizie carucce sono arrivate per un centinaio di ex Lsu di Almaviva e per i dipendenti ex Pumex che passano alla Resais, nel contenitore della Regione.
Fuori dai palazzi, per differenti motivi, restano aperte due enormi vertenze. Una è quella che riguarda i 700 lavoratori Blutec (più 300 dell’indotto) che non percepiscono la cassa integrazione da giugno. Lunedì mattina alcuni di loro hanno bloccato i binari di Fiumetorto per protesta. Oltre al ripristino degli ammortizzatori (il decreto, per via della crisi romana, non è ancora diventato esecutivo), si chiede una prospettiva industriale che però da otto anni a questa parte manca. I dipendenti dell’ex stabilimento Fiat, infatti, non possono più rientrare in fabbrica, dal momento che Blutec si è rivelata un bluff (ha distratto soldi allo Stato per altri scopi: da qui è partiti una mega inchiesta della procura di Termini Imerese) e nessuno ha fatto la fila per investire in quello scorcio di Sicilia che una volta era fonte di ricchezza. “La priorità è la convocazione di un tavolo al Ministero dello Sviluppo e del Lavoro. Bisogna correre per reindustrializzare quest’area” ha detto Antonio Nobile, di Fim Cisl.
Chi, da un tavolo con i neo ministri siciliani Catalfo (Lavoro) e Provenzano (Sud), ha ottenuto discrete risposte, invece, sono i 1.600 lavoratori di Almaviva contact a rischio esubero. L’incontro di ieri a Roma ha scongiurato al momento i licenziamenti. I dipendenti hanno ottenuto la cassa integrazione al 35% fino a marzo del 2020 e l’avvio di “un percorso condiviso” per “consentire la definizione delle soluzioni di carattere strutturale” del sito di Palermo. Oltre al percorso per la questione siciliana, il governo ha promesso “un tavolo di confronto che riguardi l’intero settore dei call center”. Il primo incontro è stato fissato al 14 ottobre.